Il suo ultimo libro, Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico, spiega perché la nostra capacità di migrare riuscirà a salvarci in un Pianeta trasformato dal riscaldamento climatico. E Gaia Vince, 50 anni, scrittrice, giornalista, conduttrice tv e ricercatrice onoraria dell’University College di Londra, questa capacità l’ha ereditata e la esercita di continuo. Suo padre scappò dall’Ungheria quando fu invasa dai sovietici, nel 1956, e si rifugiò in Australia, da dove lei si è trasferita per vivere a Londra. Per Vince spostarsi fa parte dell’essere umani: sui social è “Wandering Gaia” (traducibile in molti modi, da “errante” a “Gaia la girovaga”) e nei suoi viaggi per lavoro e ricerca non esita a portare con sé il marito Nick Pattinson e i due figli piccoli. Ma della vita privata preferisce non parlare, mentre è generosa ed entusiasta nel condividere i risultati del suo lavoro, che l’ha portata ad essere la prima donna insignita del Royal Society Prizes for Science Books, nel 2015.

“Il secolo nomade” è del 2022, ora le sue esplorazioni su quale argomento si concentrano?

“Sull’energia. Non che i miei libri non parlassero di questo, è un tema che ha sempre attraversato le mie ricerche perché non si può prescindere dal ragionare sulle fonti energetiche quando si affronta la crisi climatica. Ma ora mi sto concentrando in particolare su come dovranno cambiare le nostre prospettive”.

Nei suoi libri ha spesso affermato che le persone sono ormai consapevoli dell’emergenza climatica, ma non altrettanto della necessità di agire subito. Da divulgatrice, cosa crede sia necessario per comunicare in maniera efficace che il tempo stringe?

“Credo che quanto succede ogni giorno riesca a passare il messaggio in modo più efficace di quanto possiamo fare noi, perché tutti stanno sperimentando in prima persona gli effetti di eventi climatici estremi. Se un tempo siccità, alluvioni, uragani ci sembravano fenomeni tipici di alcune parti del mondo, adesso anche in Europa sperimentiamo con frequenza cosa significa non poter prendere un treno per un’alluvione, essere terrorizzati dagli incendi e dover fare i conti con la prolungata assenza di pioggia. Si tratta di una situazione che non si può più negare né ignorare, ma al tempo stesso chiediamo alla gente di fare una cosa piuttosto difficile e profonda e cioè capire un concetto molto astratto: tutto è dovuto a un gas invisibile, la CO2. Il Pianeta sta cambiando non per una eruzione vulcanica o per un asteroide, per eventi improvvisi e sconvolgenti, ma per un fenomeno più graduale che avviene ed è avvenuto nel corso degli anni e che mette in discussione alcune nostre caratteristiche”.

Quali, per esempio?

“Siamo gli animali che hanno imparato l’uso del fuoco e in qualche modo ora ci viene detto che dobbiamo smettere di bruciare per avere calore ed energia. Ci viene chiesto di abbandonare elementi fondamentali della nostra economia come le fonti fossili, è estremamente difficile fare questo cambio di mentalità, soprattutto in momenti in cui dobbiamo anche chiedere alla gente di credere e avere fiducia in dati e modelli che fanno previsioni, cose con cui le persone non hanno a che fare ogni giorno, al contrario, appunto, di un fornello a gas o un’auto a benzina”.

Nonostante questo la consapevolezza cresce?

“Sì, lo tocco con mano nei mie viaggi in tutto il mondo: le persone capiscono che il cambio climatico è reale, che è un problema gravissimo e che è necessario abbandonare le fonti fossili. Insomma, tutto sommato direi che come umanità non stiamo andando così male. Siamo quasi 8 miliardi e nonostante tutte le difficoltà e le differenze già nel 2015 i leader di tutto il mondo si sono seduti intorno a un tavolo per firmare l’Accordo di Parigi per limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2 °C. A me questo sembra ancora un successo fenomenale, pur se non si riuscirà a farlo”.

Nei suoi libri abbina spesso le parole “crisi” e “opportunità”. Perché?

“Ogni passaggio reca in sé delle opportunità. È sempre accaduto, con qualsiasi cambiamento sociale o economico l’umanità abbia dovuto fronteggiare. Ora abbiamo l’occasione di costruire un mondo più equo e più pulito anche perché le fonti energetiche rinnovabili non saranno appannaggio soltanto di alcuni Paesi, nei quali, come accade ora, i diritti umani sono negati. È anche una grande opportunità economica, serviranno spiccate capacità di adattamento, capacità di svolgere nuove professioni, di usare nuovi materiali su cui le nostre conoscenze aumentano a un ritmo incredibile. Siamo davvero in una ottima situazione per cogliere tutte queste opportunità offerte dalla cosiddetta green economy. Sono sicura che sapremo sfruttare al meglio questa crescita esponenziale di soluzioni per nuove batterie, nuove reti elettriche e nuova energia nucleare”.  

Non esclude il nucleare, ma è una fonte energetica che solleva molte polemiche. Lei la definirebbe “verde”?

“Potrebbe essere una soluzione per fornire energia in alcuni ambiti della grande produzione e come energia di backup, ma sono sicura che diventerà sempre meno importante perché si faranno rapidi progressi nelle tecnologie per immagazzinare energia. In ogni caso, visto che abbiamo la necessità di abbandonare prima possibile le fonti fossili, credo che il nucleare debba giocare un ruolo nella transizione, soprattutto se troveremo il modo di costruire centrali più piccole, modulari come alcune fonti rinnovabili. Il punto centrale sono sempre i tempi: dobbiamo raggiungere la quota di emissioni zero subito, ora, e il nucleare può aiutare”.

Molto dipenderà dalle decisioni politiche. Da cittadina britannica come vede il dibattito sul clima nelle elezioni europee?

“Mi auguro che i prossimi rappresentanti capiscano che è necessario un cambio di rotta e azioni immediate, un impegno serio, oppure sarà un suicidio perché se non investiamo in politiche ambientali spenderemo molto di più a cercare di riparare i danni. Tra le prime riforme da fare c’è quella per l’agricoltura. Sono indignata dalla differenza con cui i governi reagiscono alle proteste degli agricoltori e degli attivisti climatici, perché cercare di tenersi buona la lobby agricola rimandando alcune decisioni indispensabili sulla produzione del cibo in questa crisi è davvero vergognoso”.

I decisori politici non sembrano andare in questa direzione.

“Non a livello nazionale, ma nei miei viaggi ho visto tantissimi miglioramenti nelle città, alcuni sindaci stanno davvero facendo un ottimo lavoro. Sono segnali importanti, dimostrano che abbiamo i mezzi per cambiare le cose. Dobbiamo solo vedere le opportunità in questa policrisi mondiale”.