Il Ghiacciaio dei Forni in Valtellina, il secondo per estensione, un tempo definito il più himalayano dei ghiacciai alpini italiani per la sua imponente natura di tipo vallivo con più bacini collettori a monte, ha perso definitivamente la sua connotazione. Per effetto della frammentazione è ridotto oramai a tre modesti corpi glaciali protesi in una fuga disperata verso l’alto. Nuove finestre di roccia si fanno spazio nel corpo glaciale, accelerandone la fusione. La parte terminale della lingua valliva sta collassando a vista d’occhio, i continui crolli ne sconquassano la struttura.
L’immagine che ne deriva è inquietante: pare di stare in mezzo a rovine di un edificio un tempo solido e candido, ora annerito e sfasciato. Il gigante si “è vestito di nero” ingrigito dal colore scuro dei detriti e dagli effetti dell’inquinamento atmosferico, quelli che gli esperti definiscono black carbon (fuliggine, smog, ceneri derivanti dagli incendi boschivi e le immancabili microplastiche). Tutto ciò ha come conseguenza una diminuzione della sua capacità di riflettere la radiazione solare per cui, l’assorbimento, ne provoca una più veloce fusione. Crescenti rivoli d’acqua lo percorrono e sgorgano dal suo corpo, segno di un’inarrestabile emorragia che lo consuma a vista d’occhio.
Le misurazioni effettuate insieme ai tecnici in questi giorni hanno evidenziano un arretramento della fronte del Ghiacciaio di più di 40 metri lineari, a fine stagione è probabile che raggiunga i 50 metri. Negli ultimi dieci anni l’arretramento è stato di circa 400 metri. Ma l’aspetto più clamoroso è la grande accelerazione del cambiamento climatico che il ritiro glaciale sta testimoniando. Dal 1820 ad oggi il ritiro frontale è stato in totale di 3,2 km, di questi ben 1,2 sono stato registrati nel breve spazio temporale che va dal 1995 ad oggi e si teme che questa tendenza si confermi nei prossimi anni fino ad arrivare al quasi esaurimento della massa glaciale. Secondo gli esperti al 2050 i ghiacciai al di sotto dei 3500 metri spariranno e considerato che il Ghiacciaio dei Forni è a un’altitudine massima di 3670 metri è chiaro che quel che rimarrà sarà poco più che un accumulo di ghiaccio e neve.
LA MAPPA I ghiacciai italiani in crisi
È questa, in estrema sintesi, la fotografia scattata dal monitoraggio sul Ghiacciaio dei Forni, in Lombardia, nella terza tappa della Carovana dei ghiacciai 2022. Giunta alla terza edizione e partita il 17 agosto, la campagna di Legambiente – con la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) e con partner sostenitori Sammontana e FRoSTA e partner tecnico EPHOTO – monitorerà fino al 3 settembre lo stato di salute ghiacciai alpini, sempre più sotto scacco della crisi climatica. Le ultime due tappe saranno sulla Marmolada (dal 27 al 31 agosto in Trentino e Veneto) e sul ghiacciaio del Montasio (dal 1 al 3 settembre in Friuli Venezia Giulia).
Carovana dei ghiacciai: che fine ha fatto il lago del Miage
Quello che abbiamo osservato sul Ghiacciaio dei Forni è l’immagine di un gigante di ghiaccio che sta ansimando, soffocato dai cambiamenti climatici. Annerito, collassato, piagato dai crepacci e consumato: una grande sofferenza per questo corpo vivente, che ci dimostra concretamente quanto sia necessario lavorare sull’adattamento per gestire l’inevitabile; ma nel medesimo tempo mitigare, riducendo l’effetto serra, per evitare l’ingestibile.
(Vanda Bonardo è responsabile nazionale Alpi di Legambiente e coordinatrice della “Carovana dei ghiacciai”)