Kyoto. Tornano i turisti e torna il dilemma: se sia un bene o una iattura. Quella che in passato qualcuno apostrofava – impropriamente, non fosse altro che per la sua struttura policentrica – la Firenze del Giappone vive, fresca di ritorno del turismo internazionale, quel dilemma che attanaglia piccole e grandi capitali del turismo globale, come Venezia o Berlino, Barcellona o Dubrovnik.  Qui con una connotazione che a chi non tiene ben presente la forte componente isolana della cultura nipponica potrebbe sembrare razzista, visto che il problema sembra concentrarsi sugli arrivi “stranieri”.

La definitiva riapertura post-Covid delle frontiere di un Paese che – complici oggettive difficoltà logistiche (su tutte quella di orientarsi in metropoli la cui toponomastica è quasi per intero codificata in kanji) nonché economiche – soltanto da un decennio conosceva flussi turistici internazionali da meta top – 32 milioni di ingressi per quasi 35 miliardi di spesa nel 2019 – ha riprodotto, sin dalle sue prime settimane quel dilemma sui benefici e sulle controindicazioni di quella masse.Un dilemma che se da un lato fonda sui possibili effetti nefasti di un assalto in molti casi inconsapevole o perlomeno non curante della fragilità – culturale e fisica – di quel microambiente – attinge in questo caso anche dal timore di possibili recrudescenze della pandemia.

“Da un punto di vista strettamente economico, vogliamo che arrivino i turisti dall’estero – racconta all’agenzia di stampa Reuters Yasuko Fujii nel suo 230enario negozio di liquori -. “Ma da quello strettamente emotivo vogliamo clienti giapponesi”.

Il mercato di Niskiki
Il mercato di Niskiki (reuters)

Fino a due anni fa milioni di turisti da Cina, Corea del Sud e Giappone affollavano il tradizionale mercato di Nishiki dove il negozio dell’anziana Fujii è situato. Secondo il suo racconto, molti locali avevano smesso di frequentarlo, non sopportandone il sovraffollamento. In quegli stessi anni si erano moltiplicate le lamentele per i comportamenti irriguardosi degli stranieri all’interno degli innumerevoli templi di cul le colline dell’antica capitale nipponica sono stipate. La città dei ryokan, quella dove è ancora più probabile incontrare persone che indossano i tradizionali vestiti giapponesi non per fini biecamente turistici è stata nello stesso tempo colpita duramente e per certi versi sollevata dalla crisi Covid. Ad oggi, il ritorno è a piccole dosi, come programmato dal governo centrale, che ha predisposto un allentamento per gradi delle restrizioni per gli stranieri. Non ultime responsabili della scelta, le elezioni politiche di uno dei rami del parlamento locale, in programma domenica prossima e capaci di indurre il premier Kishida alla moderazione, allo scopo di evitare possibili cali di popolarità da recrudescenze di pandemia.

Altro motivo di prudenza, l’eventualità che un ingresso in massa degli stranieri, favorito dal calo dello yen, soprattutto rispetto al dollaro, ma in misura minore anche sull’euro (il biglietto in treno da Tokyo a Kyoto, in tre anni, ha perso l’equivalente di circa 50 dollari su un prezzo iniziale di circa 245), si traduca in un boomerang, provocando l’impennata dei prezzi di carburanti ed energia.

In uno dei negozi di pesce del mercato, un’impresa attiva sin dal 1620, la titolare Kaoru Kimura dice che auspica il ritorno dei turisti, a patto che non ce ne siano troppi. Il negozio è tappezzato di oggettistica internazionale: una bandierina canadese, un tagliacate cinese, noci hawaiane: sono gli omaggi che i clienti internazionali lasciavano una volta ricevuto il cortese rifiuto dei titolari di fronte a mance o a pagamenti extra. “Il problema non sono i turisti stranieri in sé, ma la nosta capacità di accoglierli tutti – spiega Kimura -. Se ne arrivano troppi non non riusciamo a offrire loro ospitalità adeguata”.

Negli utlimi due anni, il numero di alberghi che hanno chiuso, in Giappone, è stato molto elevato, e Kyoto non si è salvata. Tra le attività locali più colpite, il business dei kimono a noleggio, che come facile intuire attirava soprattutto chi arrivava da oltreconfine. Intere flotte di bus che portavano i turisti al tempio di Daitoku-ji, uno dei più famosi della città sono svanite. “Siamo una città turistica e senza gli stranieri siamo decisamente nei guai – spiega Hiroshi Fujie, settantenne direttore di un negozio di antiquariato di Nishiki, aggiungendo di non essere sicuro che il negozio possa sopravvivere al terzo anno senza quei flussi. Secondo la titolare del negozio di liquori, il giro d’affari è risalito al 60-70 per cento di quello che si registrava nel 2019, grazie alla clientela nipponica. Secondo i dati ufficiali del governo di Tokyo, nel 2022 circa 5,17 milioni di persone hanno pernottato in alberghi e guesthouse di Kyoto, e per la quasi totalità si trattava di giapponesi; nel 2019, quando c’erano anche gli stranieri, il totale è stato di circa 2 volte e mezzo superiore, 13,2 milioni.

Nel negozio di pesci gli addetti in grembiule e stivali di gomma tagliano salmone e tonno, che poi arriangiano con cura prima di presentare il tutto al pubblico. “Vogliamo le persone di ogni angolo del mondo – spiega Kimura – Ma la coda è un incubo”.