“Sono assolutamente d’accordo con l’appello dei colleghi climatologi: è importante che i partiti mettano in chiaro nei programmi quali sono i loro progetti per la lotta ai cambiamenti climatici. Però è altrettanto importante che poi gli elettori decidano chi votare anche in base a quale di questi progetti trovano più convincente”. Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica 2021 si schiera con gli scienziati che, attraverso Repubblica e Green&Blue, il content hub del gruppo Gedi dedicato ai temi ambientali, chiedono che il riscaldamento globale venga messo al centro della campagna elettorale.
Professor Parisi, perché è fondamentale che se ne parli ora, in queste elezioni?
“Perché i prossimi anni saranno cruciali. Più si aspetta a prendere provvedimenti, più il riscaldamento continua e diventerà difficile tornare indietro. Si potrebbe arrivare a una situazione capace di innescare enormi incendi, per esempio nelle foreste artiche del Canada o della Siberia, o in quella pluviale dell’Amazzonia, e a quel punto le emissioni di CO2 sarebbero enormi, con conseguenze che i modelli matematici attuali non sono nemmeno in gradi di prevedere. È come una diga che incomincia a perdere acqua: se i buchi li tappi quando sono piccoli bene, ma se aspetti di tappare i buchi quando sono grandi fai una fatica enorme e rischi anche che la diga ti caschi addosso”.
Pensa davvero che nella attuale situazione politica i partiti italiani possano mettere le questioni climatiche al centro del dibattito?
“Dovrebbero farlo, fosse anche solo per una questione strategica. Per un Paese come l’Italia, che deve importare i combustibili fossili, che siano gas, carbone o petrolio, passare alle fonti rinnovabili renderebbe molto più stabile l’economia. E se si facesse davvero su grande scala l’efficientamento termico di tutte le abitazioni, a fronte di un grande investimento, si avrebbe una grande ritorno per l’economia e il lavoro italiani. Per tutti questi motivi è importante che i partiti mettano in chiaro nei loro programmi quali sono i loro progetti per la lotta ai cambiamenti climatici, per andare verso le energie rinnovabili e un mondo meno inquinato. Ma è altrettanto importante che poi gli elettori usino queste informazioni per decidere chi votare”.
Vuole dire che oltre ai partiti andrebbe sensibilizzato anche l’elettorato?
“I politici sempre più spesso hanno uno orizzonte di pochi anni, quelli del loro mandato, non intraprendono azioni di lungo termine i cui risultati rischiano di essere inutili per la rielezione. E il clima è uno degli argomenti che ha pagato questa scarsa lungimiranza politica. Però è vero anche che finora gli elettori non si sono fatti molto sentire. Hanno votato anche loro in base ai propri interessi di breve periodo. Dunque la responsabilità è sia dei politici che degli elettori: se questi ultimi non fanno in modo che sia conveniente per i partiti fare una politica climatica, i politici non la attueranno certo in modo spontaneo”.
L’estate dei record 2022 potrebbe scuotere partiti ed elettori? O basteranno un paio di piogge prima del 25 settembre, giorno del voto, per archiviare l’emergenza?
“Questo va aldilà delle mie competenze, non so molto di psicologia delle masse. Dipenderà da quanto i partiti riusciranno a far entrare in campagna elettorale l’emergenza climatica. Se non accenderà il dibattito tra i diversi schieramenti, non peserà nemmeno quando le persone si ritroveranno a decidere chi votare. L’appello dei climatologi è importante proprio per indurre i partiti a parlare di riscaldamento globale e sollecitare gli elettori a usare questo argomento per giudicare i diversi programmi. Se per esempio i cittadini mostreranno che per loro è molto più importante la lotta ai cambiamenti climatici che la questione migranti, i partiti si orienteranno di conseguenza. Certi temi vengono cavalcati per attirare voti. E finché il clima verrà vissuto come un argomento che non porta voti rimarrà estraneo al dibattito politico”.
Perché il riscaldamento globale, nonostante tutti gli avvertimenti della scienza, fa meno paura di altre emergenze?
“Perché gli effetti più catastrofici vengono percepiti come lontani nel tempo. E il confronto con quello che succedeva solo qualche anno fa è difficile, tendiamo a dimenticare. Ma questo vale anche per le cose positive, quelle che nel corso del tempo sono migliorate: 25 anni fa gli omicidi in Italia erano più del doppio rispetto a oggi e in quarant’anni si è dimezzato anche il numero di morti per incidenti stradali. Questi confronti con il passato andrebbero fatti, perché dimostrano come le politiche di lungo termine danno in realtà frutti per tutta la società. Ed è quello che si dovrebbe fare per il clima”.
Green&Blue Open Summit, la lezione speciale del Nobel Parisi sui cambiamenti climatici
C’è un problema di incomunicabilità tra scienza e politica?
“Gli scienziati dovrebbero dedicare un po’ più di tempo alla comunicazione, per spiegare quello che loro sanno di ciò che accade nel mondo. Tuttavia la scienza può guidare le nostre scelte fino a un certo punto. L’ho detto nel mio intervento alla Camera, la scienza è come i fari di un’automobile: permette di vedere un po’ più in là. Ma sono i politici che devono guidare nella notte, sapendo che quei fari hanno una portata limitata. Gli scienziati cercano di illuminare quello che possono, ma non utilizzare le loro informazioni è come cercare di guidare nella notte a fari spenti”.
I partiti accenderanno i fari sul clima questa volta?
“La speranza è l’ultima a morire”.
E lei professore come sta affrontando la torrida estate 2022?
“Ho ridotto il numero di impegni e mi sono trasferito a Scanno, nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Ma anche qui, a mille metri di quota, domenica scorsa ha fatto un gran caldo”.