Celebrare il Mar Mediterraneo nella Giornata internazionale a lui dedicata, oggi 8 luglio, vuol dire anche approfittare di una ricorrenza come questa per prendere coscienza delle minacce a cui il Mare Nostrum è sottoposto in maniera sempre più forte, e noi con lui. Come annuncia oggi il WWF, ben l’87% del Mar Mediterraneo ha problemi di inquinamento, soprattutto legati a metalli tossici, sostanze chimiche industriali e rifiuti di plastica. A causa dell’inquinamento non solo del mare ma anche delle acque dolci, dell’aria e del suolo, la salute degli esseri umani è messa sempre più a rischio: negli ultimi due decenni i decessi causati dalle moderne forme di inquinamento (atmosferico e da sostanze chimiche tossiche) sono aumentati del 66%, fino a raggiungere i 9 milioni di morti l’anno, il che rende l’inquinamento il principale fattore di rischio ambientale per malattie e morti premature a livello mondiale.
Dal nuovo sondaggio dell’Ue sul tema inquinamento, ambiente e salute pubblicato nei giorni scorsi, emerge che più di tre quarti degli europei (78%) pensa che le questioni ambientali abbiano un effetto diretto sulla loro vita quotidiana e sulla loro salute (il 55% degli italiani), mentre circa quattro intervistati su cinque (84%) concordano sul fatto che la legislazione ambientale dell’UE sia necessaria per proteggere l’ambiente nel loro Paese.
Con il nuovo report “Non c’è salute in un ambiente malato” pubblicato oggi, il WWF vuole far riflettere e rafforzare la nostra consapevolezza sull’impatto dell’inquinamento sulle nostre vite, ma anche su quanto possiamo e dobbiamo fare tutti per ridurre la dispersione nell’ambiente di sostanze nocive spesso invisibili, ma che restano nell’ambiente e nel nostro organismo per moltissimo tempo, in grado di percorrere lunghe distanze nell’ambiente e nella catena alimentare senza subire alcuna degradazione, con sempre più evidenti rischi per la salute umana. Inaugura così, con una prima parte dedicata all’acqua, una piccola collana dedicata agli inquinanti prioritari presenti sul Pianeta e alle azioni che noi tutti possiamo mettere in atto per migliorare la nostra qualità di vita, nell’ambito della campagna “Our Future”.
L’inquinamento chimico delle acque è tra le principali minacce per la salute dell’ambiente e delle persone e una delle sfide ecologiche più gravi e urgenti che siamo chiamati ad affrontare. Mari, fiumi laghi, zone umide e falde acquifere sono pesantemente colpiti soprattutto dall’inquinamento da pesticidi e nutrienti provenienti dall’agricoltura, metalli pesanti, agenti patogeni e residui chimici provenienti da fanghi e acque reflue non trattate sia industriali sia urbane (es. sostanze fluorurate e bromurate come PFAS e PBDE, detergenti contenenti fosfati, disinfettanti/antimicrobici, tensioattivi, plastica, farmaci). L’acqua è la principale “autostrada” e destinazione finale dei nostri rifiuti e degli inquinanti chimici, che trasporta in tutto il mondo. Fino a 400 milioni di tonnellate di sostanze chimiche provenienti da impianti industriali vengono scaricate ogni anno nelle acque del mondo. Si stima che un terzo della perdita di biodiversità globale sia conseguenza del degrado degli ecosistemi d’acqua dolce, dovuto principalmente all’inquinamento delle risorse idriche e degli ecosistemi acquatici. L’inquinamento idrico è anche responsabile di circa 1,4 milioni di morti premature al mondo ogni anno.
Come segnala il WWF nel suo report, in Europa, meno della metà (44%) dei corpi idrici superficiali è in buono o ottimo stato ecologico, anche dal punto di vista chimico. In Italia il 13% dei fiumi e l’11% dei laghi non raggiungono il buono stato, ma il 9% e il 20% rispettivamente non sono ancora classificati. Per quanto riguarda i mari d’Europa, tra il 75 e il 96% delle aree valutate presenta un problema di contaminazione. In Italia, per molte sostanze chimiche ancora non ci sono dati di monitoraggio sufficienti per valutare lo stato delle acque marine ma i dati disponibili indicano un diffuso e complessivo cattivo stato dei mari.
La plastica è una delle contaminazioni chimiche più pervasive e persistenti che il Pianeta abbia mai dovuto affrontare nonché uno dei contaminanti più diffusi a livello globale a cui siamo esposti quotidianamente, non solo attraverso l’acqua, ma anche attraverso l’aria e il cibo. Il Mediterraneo è il mare con un triste primato, la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità marine: 1,9 milioni di frammenti per metro quadro, superando così il limite massimo tollerabile di presenza di microplastiche, oltre il quale non c’è più sicurezza di mantenere le condizioni favorevoli alla vita e al benessere umano.
Le materie plastiche (che costituiscono il 75% dei rifiuti marini) trasportano sostanze chimiche: è stato calcolato che, insieme ai rifiuti di plastica, in un solo anno siano entrate negli oceani 190 tonnellate di 20 diversi additivi chimici. Fino a 16mila diverse sostanze chimiche sono state ritrovate nelle plastiche tra coloranti, ritardanti di fiamma, stabilizzanti, lubrificanti, plastificanti e altre sostanze, molte delle quali hanno funzioni, strutture e tossicità poco conosciute. Di queste solo su 7.000 abbiamo dati certi di pericolosità, mentre il 66% delle sostanze è senza informazioni. La ricerca, infatti, evidenzia gli effetti gravi che l’inquinamento chimico da microplastiche sta causando ad intere popolazioni di specie selvatiche, habitat ed ecosistemi acquatici (ma anche terrestri). Aumentano anche le prove scientifiche degli effetti sulla salute umana: infiammazioni, alterazioni cellulari e genotossicità che possono portare conseguenze gravi, tra cui cancro, problemi riproduttivi, di sviluppo, respiratori e digestivi, obesità, diabete. Un recente studio italiano dimostra per la prima volta una correlazione tra la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche, i depositi di grasso nelle arterie, e un maggior rischio di infarto e ictus. Inoltre, è stato scoperto che le microplastiche contribuiscono anche alla crescita della resistenza agli antibiotici, problematica gravissima a livello mondiale.
Particolarmente preoccupanti sono i PFAS, perché molto tossici e persistenti ma utilizzati in moltissimi prodotti di plastica di uso comune: dai contenitori per alimenti, ai vestiti. Sono definiti “contaminanti eterni” perché non si degradano mai e si accumulano nell’ambiente e negli organismi, con gravi effetti sulla salute. I mari europei sono contaminati da sostanze per- e polifluorurate (PFAS) sia di vecchia data che di uso corrente. Le concentrazioni di PFOS negli organismi marini sono state riscontrate a livelli fino a 100 volte superiori allo standard di qualità ambientale dell’UE. Il 72% degli italiani non ha mai sentito il termine PFAS (in Europa il 71% dei cittadini), eppure il Nord Italia, in particolare Veneto, Lombardia e Piemonte, è tra i siti europei più inquinati da queste sostanze.
Obiettivo: ingaggiare tutti gli attori per ridurre l’inquinamento delle acque “Per ridurre l’inquinamento servono un’azione e un cambiamento collettivi poiché questoè il risultato di molteplici attività che si svolgono nella maggior parte dei settori sociali ed economici, ed è regolamentato da autorità internazionali, nazionali, regionali e locali – afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia -. Serve maggiore trasparenza sulle sostanze chimiche presenti nei prodotti, sia lavorando sull’etichettatura, sia sulla sensibilizzazione dei consumatori, riducendo l’utilizzo di sostanze dannose per la salute e per l’ambiente”.
I cittadini sono anche preoccupati per i costi dell’inquinamento: il 92% degli europei afferma che le aziende dovrebbero pagare i costi di disinquinamento, mentre il 74% concorda sul fatto che le autorità pubbliche dovrebbero pagare i costi. Per far fronte a costi e rischi per la salute è necessario ingaggiare tutti gli attori della società: istituzioni, ricerca, aziende e cittadini. Politiche volte alla riduzione delle sostanze chimiche dannose e alla loro gestione più sicura sono necessarie a livello globale e nazionale. La ricerca di sostanze più sostenibili e i biomonitoraggi sugli effetti e i rischi per le specie e gli esseri umani, sono fondamentali. Industrie più responsabili verso l’uso e lo smaltimento delle sostanze chimiche, basate su flussi circolari di materiali e l’applicazione diffusa del principio di precauzione hanno un ruolo cruciale.
“L’obiettivo comune è porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040 e per raggiungerlo i Paesi di tutto il mondo devono adottare un Trattato globale sulla plastica, in accordo con il mandato stabilito nella risoluzione del marzo 2022 dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA) – conclude Eva Alessi -. Ognuno di noi deve e può adottare comportamenti più sicuri per la collettività e per il nostro benessere attraverso i prodotti che acquistiamo e il modo in cui li (ri)usiamo, ricicliamo o scartiamo. Spesso, sono le piccole cose a fare una grande differenza”.