Uno studio internazionale mostra – dalle tigri a orsi, elefanti o cetacei – come nell’ultimo decennio la convivenza fra esseri umani e fauna è sempre più complessa. Ma in occasione del World Wildlife Day Legambiente e Wwf ricordano che si può fare molto per migliorarla

A inizio anno è successo di nuovo. Nell’Uttarakhand, in India, un leopardo ha attaccato un contadino. Ormai capita – dicono i dati – più di una volta al mese. Lo stesso vale per le cariche di elefanti, nei confronti dell’uomo, nel Sudest Asiatico. Ma ci sono anche i casi di orche che colpiscono le prue delle navi o, al contrario, migliaia di cetacei – come le balenottere – uccise dal passaggio delle imbarcazioni. Anche gli episodi di scontri con i grandi predatori, dalle tigri ai lupi fino agli orsi polari, sono in crescita.

 

Il perché, dice la scienza, è sempre dovuto dalle azioni dell’uomo: sia a causa dell’avanzata degli 8 miliardi di esseri umani sul Pianeta, che continuano ad invadere gli habitat naturali e togliere spazio a fauna e flora, sia per la crisi climatica che abbiamo innescato, sostiene ora un nuovo studio.

La ricerca, pubblicata su Nature Climate Change e condotta dall’Università di Washington, sostiene che a causa delle emissioni e l’emergenza climatica che stiamo vivendo crescono i conflitti fra uomini e animali selvatici. Una notizia che dovrebbe farci riflettere non solo il 3 marzo – giorno in cui nel mondo si celebra il World Wildlife Day, giornata dedicata agli animali selvatici – ma soprattutto in vista del futuro.

A causa del clima che cambia è infatti sempre più complesso trovare cibo, acqua, habitat naturali sani: vale sia per l’uomo che per la fauna selvatica, che entrano in conflitto. Una sfida in cui, nella Natura in cui tutto è connesso, perdiamo entrambi.

 

I ricercatori statunitensi sono partiti dall’analisi di 30 anni di studi scientifici scoprendo che il numero di ricerche che collegano il collasso climatico ai conflitti uomo-animali è quadruplicato negli ultimi dieci anni, rispetto per esempio ai due decenni precedenti. Esaminando quasi 50 casi di conflitto in tutti i continenti (escluso l’Antartide) gli esperti hanno osservato una intensificazione dello scontro che riguarda sia le specie più piccole sia i grandi mammiferi, come gli elefanti africani, ma anche uccelli, pesci, rettili, invertebrati.

Emerge, ad esempio, che i cambiamenti di temperatura e precipitazioni sono stati tra i fattori più comuni di conflitto, presenti in oltre l’80% dei casi di studio. Nello scontro l’esito più comune è stato il danno o la mortalità per le persone (nel 43% degli studi) o per la fauna selvatica (45%) e a impressionare gli scienziati è sia l’ampiezza sia la portata del fenomeno.

“Siamo rimasti sorpresi dal fatto che sia così diffuso a livello globale – ha spiegato Briana Abrahms, biologa della fauna selvatica dell’Università di Washington – finora non c’è stato il giusto riconoscimento sul fatto che il cambiamento climatico stia esacerbando questi conflitti: potremmo vedere nuovi conflitti in luoghi in cui non c’erano in passato, così come altri che si intensificano in zone già abituate a questi eventi”.

Dalle “razzie” degli elefanti all’attacco delle tigri

Gli esempi forniti nello studio vanno in entrambe le direzioni. Per esempio l’aumento degli scontri, causati dall’uomo, fra imbarcazioni e balenottere azzurre. Più in generale si parla di quasi 20mila balene uccise ogni anno a causa degli impatti con le grandi navi. In molti casi, anche per la crisi del clima che porta a un mare più caldo, i cetacei stanno cambiando le loro rotte migratorie.

 

Oppure, con coltivazioni che invadono aree prima destinate alla natura o per via di incendi boschivi indotti dalla siccità, crescono gli attacchi dei grandi felini. Se in India preoccupano le aggressioni da parte dei leopardi, la ricerca indica anche come a Sumatra tigri ed elefanti una volta privati del loro habitat si stiano oggi spostando in nuove aree, causando scontri e morti fra gli esseri umani. Al contrario, avviene anche che con temperature più elevate di giorno, i predatori attaccano sempre più spesso di notte il bestiame, quando è meno controllato: la conseguenza nei villaggi sono spesso rappresaglie che portano all’uccisione degli animali.

 

Nell’Artico, a Manitoba, le interazioni uomo-orso polare sono triplicate: senza più ghiaccio marino ridotto dalla crisi del clima i grandi orsi si spostano verso insediamenti e terraferma per cacciare.

Dall’altra parte del mondo, in Africa, in questo caso in Tanzania, “la siccità sta costringendo gli elefanti a cercare cibo e acqua vicino ai villaggi” causando così danni ai raccolti e uccisioni  sempre per rappresaglia. I conflitti aumentano persino in Europa: per esempio in Scozia le temperature elevate portano a un aumento di oche che mangiano l’erba dei pascoli innescando la rabbia degli allevatori, che spesso si vendicano uccidendo gli uccelli.

 

In conclusione, gli esperti indicano la necessità di lavorare sia per ridurre l’emergenza climatica sia per “anticipare” i conflitti dove è più probabile che si verifichino e di elaborare strategie per ridurli, per esempio attraverso la creazione di sistemi di allerta precoce sulla fauna selvatica che si sposta in aree soggette a siccità o incendi. “Riconoscere la connessione tra cambiamento climatico e conflitto uomo-fauna selvatica è essenziale per giocare d’anticipo” chiosano gli scienziati.

L’appello di Wwf e Legambiente

In occasione del Wildlife Day, anche le associazioni ambientaliste italiane ricordano l’importanza di lavorare per una corretta convivenza fra esseri umani e fauna selvatica. Legambiente sostiene come in Italia sia necessario “accelerare il passo nella tutela di flora e fauna aggiornando norme e strategie, investendo risorse adeguate per frenare la perdita di biodiversità. Mancano solo 7 anni per centrare gli obiettivi al 2030”.

Per esempio, scrivono nel report “Natura Selvatica a rischio in Italia”, per evitare casi di difficile convivenza o tristi epiloghi, come la recente morte dell’orso Juan Carrito investito su una strada, bisogna “aumentare le aree protette, migliorare la collaborazione tra le diverse istituzioni e prevedere patti di collaborazione tra aree naturali protette e comunità locali” e implementare quelle buone pratiche, come il progetto Life DELFI per aiutare i delfini impigliati nelle reti, in grado di limitare i rischi sia per gli animali, sia per gli esseri umani.

 

Il Wwf Italia ricorda inoltre come “sebbene le attività umane abbiano causato il degrado di foreste, praterie, terreni agricoli produttivi, oceani, fiumi, mari e laghi e circa 1 milione di specie siano sull’orlo dell’estinzione, la buona notizia è che abbiamo gli strumenti e le soluzioni per ridurre la perdita di biodiversità sulla Terra”.

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Chiave per questa riduzione è intensificare gli sforzi “per conservare, reintrodurre o rinforzare le popolazioni delle cosiddette specie chiave, fatto che equivale a salvaguardare interi ecosistemi e comunità di specie” e cita per esempio la necessità – anche per i rapporti con l’uomo – di proteggere l’orso marsicano lavorando sulla “connettività ecologica in tutto l’areale”, oppure di insistere sul recupero di specie chiave come le lontre o l’aquila di Bonelli.