Una istanza di denuncia contro l’inadeguatezza dei piani Eni nel contrastare l’emergenza climatica. Oggi più associazioni ambientaliste e movimenti hanno deciso di presentarsi davanti al Punto di contatto nazionale Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) a Roma per dare il via ad un atto formale nei confronti della big company italiana dell’energia. Lo scopo è denunciare le incongruenze dei piani climatici Eni, che da una parte secondo gli attivisti porta avanti campagne di greenwashing tentando di mostrare il suo impegno verde ma dall’altra continua a basare “i suoi profitti e le sue azioni su petrolio e carbone”.
Unite in questa denuncia ci sono la Rete Legalità per il clima, A Sud, Forum Ambientalista, Generazioni Future – Cooperativa di mutuo soccorso, Fridays for Future, Extinction Rebellion Milano, Per il clima fuori dal fossile, Emergenzaclimatica.it, Europa Verde, Greens/ALEa al Parlamento Europeo e Diritto Diretto.
Secondo le associazioni, alcune già coinvolte in una azione di protesta al Festival di Sanremo di cui Eni è stato sponsor con la campagna Plenitude, “il piano industriale è disastroso per il clima e incompatibile con la lotta all’emergenza climatica”.
I punti chiave su cui fanno leva gli attivisti sono il fatto che “il piano strategico Eni non preveda un sufficiente taglio delle emissioni nei prossimi anni”, ma anche “la mancanza di una valutazione di impatto climatico delle attività d’impresa” e “l’assenza di informazioni trasparenti e adeguate e la mancata elaborazione di un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi come invece previsto dalle Linee Guida dell’Ocse per le imprese multinazionali”.
Marica Di Pierri, portavoce di A Sud, spiega a Green&Blue spiega che si tratta di una procedura di mediazione, un modo per aprire il dialogo “sottoponendo all’Ocse un rilievo sull’inadeguatezza delle politiche di Eni. È una strada iniziale che abbiamo scelto per porre attenzione sul primo emettitore italiano di gas serra. Leggendo il loro piano industriale, al di là dei loro obiettivi di decarbonizzazione che sulla carta appaiono ambiziosi, emerge il fatto che continua ad aumentare del 4% all’anno l’estrazione di petrolio e gas, ancora per alcuni anni. Dunque il grande impegno dov’è? Di fatto continuano con il core business dell’industria fossile”.
Come forma di protesta, le associazioni hanno coniato il termine “greENIwashing” perché il “greenwashing sembra diventato per Eni un marchio di fabbrica” spiega Di Pierri. “Per quanto si sforzi di raccontarsi come attenta all’ambiente, inclusa la recente operazione Plenitude che ha imperversato anche sul palco di Sanremo, resta saldamente il primo emettitore italiano di gas serra ed è circa al 30° posto a livello globale”.
Con l’atto formale di oggi, le associazioni si augurano in primo luogo che l’Ocse decida di avviare questa procedura (si dovrebbe conoscere circa entro trenta giorni se sceglierà di affrontare o meno l’istanza) e poi “sarà l’Eni a dover accettare di partecipare. E’ una istanza di mediazione – chiosa Di Pierri – che ha lo scopo di denunciare una situazione ma soprattutto di aprire un confronto con l’azienda nella speranza che voglia ascoltare le nostre ragioni”.