Non è certo una sorpresa ma un’altra, l’ennesima, misura del conflitto e del potere distruttivo della guerra, da un punto di vista diverso, quello dell’acqua. Perché l’acqua, non serve dirlo, serve per tutto: per bere, per lavarci, per mandare avanti praticamente qualsiasi industria, per la produzione di cibo ed energia. La guerra, distruggendo le infrastrutture idriche, distrugge anche tutto questo. A riportare l’attenzione sul tema oggi è un team internazionale guidato da una ricercatrice ucraina, che fa i conti della distruzione della guerra guardando a quelle che hanno colpito l’acqua appunto. È un conto parziale, ma più che sufficiente a rendere l’idea del disastro, ma anche un invito a riflettere sul ruolo dell’acqua nelle guerre.
L’oro blu, infatti non può solo essere messo a repentaglio dai conflitti armati. Da sempre praticamente l’acqua, e soprattutto l’accesso alle fonti di acqua dolce, sono motivo di conflitti, ovvero il controllo delle fonti d’acqua può scatenare guerre, ma l’acqua può essere usata anche come arma, seppure in misura minore, spiegano gli autori, citando i dati del progetto Water Conflict Chronology.
La Guerra in Ucraina, sotto questo aspetto, è un caso particolare, perché ha luogo particolarmente ricco di infrastrutture idriche, e quindi particolarmente a rischio, come ha ricordato la ricercatrice ucraina Oleksandra Shumilova del Leibniz Institute of Freshwater Ecology and Inland Fisheries a Berlino. Insieme ai colleghi Shumilova ha mappato la misura dei danni portati dalla guerra a queste infrastrutture nei primi mesi del conflitto (fino allo scorso maggio). Le operazioni militari, direttamente o meno, hanno causato di tutto: interruzione del rifornimento idrico e dei sistemi di depurazione, inquinamento da munizioni militari, danni alle dighe, inquinamento batteriologico, centrali idroelettriche saltate, esondazioni da acqua contaminata dalle miniere. Nelle zone più colpite dal conflitto ma anche a distanza. Non da ultimo, i danni alle infrastrutture hanno lasciato senza acqua milioni di ucraini o con acqua inquinata: 16 milioni solo fino a dicembre.
La fotografia scattata dai ricercatori – e pubblicata sulle pagine di Nature Sustainability – non è che una piccola istantanea, neanche del tutto nitida, dei danni del conflitto sulle infrastrutture idriche del paese, risalente ormai a mesi fa. A cui vanno sommati i danni che si sono avuti nei mesi a seguire, e i potenziali rischi collegati a cedimenti di strutture vulnerabili come i bacini idrici lungo il fiume Dnepr, essenziali l’agricoltura, la produzione di energia e il raffreddamento delle centrali nucleari, scrivono gli autori. Ma il pericolo è anche quello del rilascio di metalli pesanti dalle munizioni disperse nell’ambiente o di materiale radioattivo per cedimento delle riserve contaminate dopo Chernobyl. Tutto questo con ripercussioni che possono estendersi a livello globale, come vediamo già da tempo.
L’appello dei ricercatori è perché si faccia tutto il possibile per garantire accesso ad acqua sicura ai civili, che vadano oltre il semplice trasporto di bottiglie d’acqua, magari puntando a rifornire di sistemi di trattamento locali di desalinizzazione, filtraggio e depurazione delle acqua, per scuole, ospedali e centri abitati. “Sebbene il conflitto sia ancora in corso – si legge nelle conclusioni – le infrastrutture idriche e le risorse d’acqua dolce dovrebbero essere protette e mantenute per il ruolo centrale che hanno nel sostenere i bisogni primari delle persone, la salute e il benessere”.