SHARM EL-SHEIKH. Prove di alleanza tra i 7 Paesi più ricchi del mondo e i 20 più vulnerabili ai cambiamenti climatici: il tentativo è andato in scena questa mattina a Sharm El-Sheikh quando il ministro delle Finanze del Ghana Ken Ofori-Atta, in rappresentanza del V20, il gruppo dei Paesi vulnerabili, e Svenja Schulze, ministro per la Cooperazione e lo Sviluppo nel governo tedesco, hanno presentato il Global Shield against Climate Risks, uno scudo finanziario contro i rischi climatici.
L’operazione, fortemente voluta da Berlino, aveva ricevuto nelle settimane scorse il via libera unanime di tutti i membri del G7 a presidenza tedesca, ed è stato lanciato oggi, all’inizio della seconda, e decisiva, settimana di lavori di Cop27.
A preoccupare le delegazioni ammassate nei prefabbricarti del centro conferenze di Sharm è soprattutto il braccio di ferro sul loss and damage, cioè gli aiuti economici da fornire quei Paesi ai quali gli eventi meteo estremi infliggono “perdite e danni”. L’esempio ricorrente in questi giorni è il Pakistan, messo in ginocchio dalle alluvioni della scorsa estate: 32 miliardi di dollari di danni stimati, a fronte del miliardo erogato come aiuto dal Fondo monetario internazionale. Soldi che spesso rischiano far avvitare i Paesi colpiti anche in una spirale di debiti.
Ma chi deve pagare in caso di perdite e danni da clima? “I nostri Paesi pagano da tempo, in termini di vite perdute, infrastrutture distrutte, mancata crescita economica”, ha esordito il ministro ghanese Ken Ofori-Atta. A tirar fuori i soldi dovrebbero essere dunque i Paesi ricchi, quelli che, sfruttando i combustibili fossili negli ultimi 200 anni, hanno sostanzialmente causato l’attuale emergenza climatica.
E tuttavia, pur se condiviso in linea di principio, questo approccio innesca una marea di distinguo quando si scende nei dettagli. A cominciare dal più banale: come si fa ad attribuire in modo incontrovertibile al riscaldamento globale un incendio o un’alluvione, i danni che causano, i morti che provocano?
Lo scudo ideato dal G7 e dal V20 prova a dare una risposta. L’idea, semplificando all’estremo, è che i Ricchi investano in una serie di assicurazioni pronte a intervenire in caso di disastro climatico. È come se qualcuno, avendo distrutto una rete viaria con le sue attività, si offrisse di pagare l’assicurazione a tutti gli altri automobilisti in circolazione su quelle strade, per aiutarli ad affrontare i costi di eventuali incidenti.
Nei documenti preparatori del Global Shield against Climate Risks si elencano i possibili strumenti finanziari da mettere in campo. Per aiutare famiglie e imprese, si pensa a “sistemi di protezione sociale, assicurazione sul bestiame e sulle colture, assicurazione sulle proprietà, assicurazioni sull’interruzione dell’attività, reti di condivisione del rischio e garanzie del credito“. Ma i destinatari saranno anche i governi, e in quel caso “il Global Shield sosterrà lo sviluppo integrato di strumenti per garantire che il denaro sia disponibile quando necessario e per garantire che venga speso fornendo ciò di cui le persone e le comunità colpite hanno bisogno quando ne hanno più bisogno”.
“Per ogni Paese vulnerabile verranno studiate le misure più adatte”, ha spiegato Svenja Schulze in rappresentanza del G7, avvertendo che “questo scudo non vuole togliere dal tavolo dei negoziati di Cop27 il loss and damage. Auspichiamo, però, che possa dare un contributo importante alla soluzione del problema”.
Proprio a Cop27 nei giorni scorsi il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva annunciato lo stanziamento 170 milioni di euro da parte della Germania in vista del lancio del Global Shield against Climate Risks. Venti milioni li ha messi la Francia, 10 l’Irlanda, 7 il Canada, 4.5 la Danimarca. I primi Paesi vulnerabili a beneficiarne saranno Bangladesh, Costa Rica, Fiji, Ghana, Pakistan, Filippine e Senegal.