Nel nord dell’isola greca di Karphatos (Scapanto), un villaggio arroccato sulle alture racchiude al suo interno una delle rarissime, se non l’unica, società matriarcale. Una comunità che resiste al turismo di massa e in generale all’omologazione globale dello stile di vita. Un comune, Olympos, di neppure 300 abitanti, su un’isola del Dodecaneseo, che, pur collocata a metà strada sulla rotta Rodi-Creta, al limite sudorientale del Mar Egeo, e non estranea al turismo, non vive le stagioni della movida delle mete più illustri delle località balneari più celebri che costellano quell’angolo di Mediterraneo.

“Qui sono le donne a comandare – racconta con orgoglio all’agenzia di stampa France Presse Rigopoula Pavlidis, 60 anni, mentre lavora su una macchina da cucire, nella sua casa. Il marito, impegnato a dipingere uin’icona, annuisce. “Mio marito non sa fare niente senza di me, neppure la dichiarazione dei redditi”, continua Pavlidis.

Al centro della comunità locale, le donne di Olympos giocano un ruolo essenziale a Olympos, secondo una tradizione che risale all’epoca bizantina. Usanze che neppure l’occupazione ottomana – dal 1538 – né la più recente presenza italiana, da inizio ventesimo secolo al 1944 – è riuscita a scalfire. Isolato dal resto di Karphatos ha cercato di resistere alla “civilizzazione”, tanto che la prima ed unica strada asfaltata è stata costruita soltanto negli anni Ottanta del Duemila. Da allora, i primi forestieri si sono cominciati a vedere e ormai, ogni estate, migliaia di turisti si palesano, attirati sia dall’aura pittoresca che il borgo emana dall’esterno, che dall’unicità di quel che si palesa loro una volta entrati.

“Il sistema di successione scelto qui era troppo avanzato per il resto della Grecia. L’eredità della madre veniva trasmessa alla maggiore delle figlie femmine – spiega Giorgos Tsampanakis, storico originario di Olympos. Primogenita al femminile, Pavlidis ha quindi ereditato un terreno con 700 ulivi. “Le famiglie non avevano beni a sufficienza per dividerli tra tutti i figli – continua la sessantenne – e se mai avessero scelto di lasciare le eredità ai maschi, loro l’avrebbero dilapidata”. Dopo il matrimonio, erano gli uomini ad andare ad abitare nelle case delle donne. La predominanza femminile si ritrova anche nella trasmissione dei cognomi. “La figlia prima nata prendeva il cognome dalla nonna materna, mentre nel resto della Grecia si trasmetteva quello della nonna paterna”, racconta Tsampanakis. “Ancora oggi, molte donne si fanno chiamare con il nome di famiglia della madre, anziché prendere quello del marito”.

Uno dei fattori che ha contribuito al mantenimento della tradizione è stata la massiccia emigrazione degli uomini, verso gli Stati Uniti o altri Paesi Europei, a partire dal secondo dopoguerra, l’emigrazione degli uomini. Le donne si sono trovate costrette a gestire, sole, lo sfruttamento dei terreni. Ad Avlona, una piccola comunità che confina con Olympos, Anna Lentakis, 67 anni, raccoglie con gusto i carciofi con i quali preparerà la sua omelette biologica, da servire nella sua piccola mensa. “Non c’era altra scelta, per sopravvivere, se non quella di emigrare”, racconta. Fino a qualche anno fa, era lei a gestire, a Olympos, la taverna che prende il nome dal villaggio. Ora ha ceduto il passo alla maggiore delle sue figlie, Marina. “Mi piace dire che l’uomo è la testa della famiglia, mentre la donna ne è il collo – dice Marina -. E che quindi è la donna ad orientare le decisioni prese dall’uomo”. Anna, la figlia tredicenne di Marina, sa che un giorno sarà lei a prendere il testimone. “È il retaggio di mia nonna, sarò orgogliosa di occuparmene”, dice la giovanissima.

Ma il sistema di trasmissione di beni e responsabilità avvantaggia solo le eredi designate. “Le figlie cadette devono rimanere sull’isola e rimanere al servizio delle sorelle maggiori. Sì è creata una sorta di casta sociale”, spiega Alain Chabloz, membro della Società di Geografia di Ginevra, che ha studiato il sito. Giorgia Fourtina, che nella sua famiglia è una delle spare, vede quella di Olympos come una società tutt’altro che progressista. “È una piccola comunità, nella quale una donna sola in un caffè è giudicata male”, racconta ad Afp.

Le donne di Olympos portano per tradizione costumi ricamati, con dei grembiuli a fiori, e degli stivali inpelle. Veri e propri tesori, questi abiti fanno parte della dote, che – sembra una contraddizione – comunque esiste ed è al femminile. Irini Chatzipapa, 50enne fornaia – anche questa è una professione coniugata al femminile, qui – è la più giovane delle abitanti locali che ancora indossa il costume tradizionale tuttii giorni. “Ho insegnato a ricamare a mia figlia, ma, escluse le feste, lei non indossa questo vestito che mal si adatta alla vita moderna”, confida. Sua madre, Sofia, 70 anni, si inquieta. “Il nostro costume ormai sta diventando solo folklore per le feste. Il nostro mondo sta scomparendo”.