Con i suoi show di oranghi, coccodrilli, tigri ed elefanti, per le associazioni animaliste era soltanto un grande spettacolo della crudeltà umana. Il contestato zoo di Phuket, in Thailandia, da inizio anno ha definitivamente chiuso i battenti. Da tempo diverse petizioni avevano portato alla ribalta questa struttura, accusata per le terribili condizioni in cui vivevano diverse specie, un “inferno in terra per gli animali” lo avevano definito gli attivisti. Alla fine, lo zoo ha chiuso davvero, ma non per le petizioni: travolto dalla crisi, dovuta sia al calo di visitatori e di turisti legato alla pandemia, sia a una nuova coscienza globale contro gli esemplari in cattività. Ma ora si pone il problema di ricollocare tutti gli animali in altre strutture, per lo più parchi naturali, riserve o santuari dedicati alla conservazione.
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Animali in cattività, il costo morale degli zoo
di Emma Marris
Per chi come la Peta da dieci anni ne chiedeva la chiusura, denunciando le condizioni “lager” in cui vivevano gli animali, è comunque una vittoria, anche se potrebbe essere considerata a metà dato che molte altre strutture in Asia e non solo, con il solo scopo di mostrare animali da esibire, restano ancora attive, anche se per via della pandemia sono sempre più in crisi. Al momento, grazie all’aiuto della Wildlife Friends Foundation Thailandia, dallo zoo della località turistica è previsto il trasferimento di 11 tigri in un santuario, così come si stanno studiando spostamenti sicuri per i due orsi presenti nello zoo e per gli elefanti.
Le prove dei maltrattamenti
Proprio questi ultimi, purtroppo, nel 2019 erano stati al centro di alcune riprese video girate dall’associazione Moving Animals, in cui si vedevano operatori dello zoo colpire i pachidermi con catene e aste di metallo, per costringerli a fare uno spettacolo per i visitatori. Uno degli elefanti, ferito dalle aste di metallo, poco dopo si è ammalato ed è morto. Altri video avevano mostrato le condizioni precarie degli orsi, anche questi maltrattati, e soprattutto delle tigri, vittime di ripetute violenze, anche psicologiche, con catene al collo, costrette in spazi ridotti e apparse spaesate e in difficoltà, con il forte sospetto – come avvenuto in altri zoo dell’Asia – che fossero state drogate per permettere ai visitatori di fare selfie con i felini.
Proprio su turisti e visitatori, negli ultimi anni, aveva fatto leva la campagna Peta, chiedendo di boicottare lo zoo e soprattutto, a coloro che c’erano stati, di lasciare recensioni veritiere su Tripadvisor e altre piattaforme, tanto che oggi il Phuket Zoo conta a malapena due stelle. Di fatto, un modo per disincentivare altre visite. Alcune recensioni, per esempio, segnalavano la presenza di rettili e altre specie “quasi morte di fame“. Secondo gli animalisti, oggi le condizioni di estrema crudeltà in cui versano gli esemplari custoditi negli zoo asiatici possono cessare soprattutto se i turisti evitano di frequentare queste strutture, che nulla hanno a che fare con progetti di conservazione. Gli attivisti spronano anche a smettere di fare foto con gli animali, poiché solo in Asia sono 8mila le tigri detenute in cattività soltanto per permettere i selfie dei turisti.
La crisi degli zoo
Oltre a una mutata sensibilità da parte dei turisti, a contribuire alla dismissione degli zoo c’è la pandemia: con il turismo azzerato e pochi visitatori molti parchi sono rimasti senza fondi e non riescono più a dar da mangiare agli animali e prendersene cura. Edwin Wiek della Wildlife Friends Foundation ha ricordato che “durante la pandemia di Covid-19 abbiamo ricevuto più chiamate che mai dai luoghi di intrattenimento e dagli zoo che non possono più permettersi di nutrire i propri animali”.
L’etologa Chiara Grasso spiega a Green&Blue che se da una parte “è certamente un bene che uno zoo del genere abbia chiuso, dall’altra bisogna ragionare sul futuro delle strutture, quelle serie, con programmi di conservazione e ricerca, che senza visitatori hanno carenza di fondi. Servirebbero, a mio avviso, sostegni da parte dello Stato”. Grasso spiega infatti che – lontanissime da quella thailandese – molte strutture nel mondo sono fondamentali per “riproduzione, educazione ambientale, ricerca” e con l’impatto della pandemia “anche queste possono essere a rischio”.
Ricollocare gli animali
Nel caso dello zoo di Phuket, adesso si sta cercando di dare una seconda casa agli animali, sicura e priva di crudeltà, con lo scopo di reinserire alcuni esemplari in natura. Ma anche per questo servono fondi: per le tigri e orsi è stata lanciata una campagna di sostegno e i soldi raccolti serviranno per realizzare strutture idonee ad ospitarli. Per questi ultimi animali, così come per gli elefanti, “soprattutto se sono cresciuti in cattività – ricorda Grasso – il reinserimento in natura è difficilissimo se non impossibile. I grandi carnivori o animali intelligenti come i pachidermi, alimentati e cresciuti dall’uomo, difficilmente potranno tornare a vivere in natura. In generale, il trasferimento è inoltre molto costoso e complesso. Nel caso dello zoo thailandese però la chiusura è un bene ed è una nuova e importante opportunità di vita per molti animali, che potranno così riassaporare la libertà all’interno di santuari e riserve”.