Le Hawaii pensano a una tassa d’ingresso. Cinquanta dollari (poco meno al cambio attuale in euro) come contibuto materiale e morale all’impegno e ai costi sostenuti dal 50mo stato Usa per rivitalizzare il reef che i battelli carichi di turisti contribuiscono a danneggiare. O a quelli necessari a proteggere gli alberi delle foreste native da improvvise epidemie provocate da parassiti, magari importati. O come semplice contributo all’esigenza di rafforzare gli organici della polizia e della guardia costiera in modo da scoraggiare escursioni natatorie o in kayak troppo invasive per il quieto vivere di delfini e tartarughe.
L’arcipelago eden del Pacifico pensa seriamente a un’iniziativa che imponga un pass annuale – da acquistare prima dell’arrivo – a chiunque si appresti a visitare o frequentare parchi, foreste, sentieri da trekking e in generale “aree naturali del territorio dello stato”. Il modello portato ad esempio dai sostenitori dell’iniziativa, governatore democratico Josh Green in primis, è quello di Venezia (seppure slittato più volte), delle Galapagos (dove c’è un’entrance fee di 100 dollari), e di Palau (100 dollari).
Quello che vorrei fare – spiega Green -, è rendere i visitatori responsabili dell’impatto che hanno e conseguentemente indurli a contribuire per questo. Abbiamo 10 milioni di turisti l’anno, a fronte di una popolazione residente di solo 1,4 milioni di persone. Quei 10 milioni di viaggiatori dovrebbero contribuire al sostentamento del nostro ambiente”.
I legistlatori stanno come detto prendendo in considerazione un provvedimento che richieda ai turisti che intendono visitare i parchi o gli itinerari escursionstici dello stato il pagamento di una licenza o pass annuale. L’ammontare del lasciapassare è ancora oggetto di discussione.
Già l’anno scors il governatore aveva sbandierato la volontà di istituire una tassa d’ingresso di 50 dollari per tutti i turisti. I legislatori locali però avevano osservato che una simile normativa – che andrebbe a colpire tutti i visitatori non residenti, inclusi i cittadini statunitensi residenti oltreoceano, che sono la stragrande maggioranza degli ospiti in arrivo – viola la norma costituzionale Usa che tutela la libertà di viaggio all’interno del territorio federale. Da lì il diverso approccio: far pagare l’accesso a parchi e sentieri.
Il membro della Camera dei rappresentanti hawaiana Sean Quinlan, un democratico che dirige l’House Tourism Committee, illustra come il cambiamendo delle abitudini di viaggio sia una delle cause del provvedimento. Racconta che, negli ultimi 10 anni, il livello medio di visitatori per campi da golf per giorno è calato del 30 per cento, mentre nello stesso periodo quello dei trekker è salito del 50 per cento. Un’altra tendenza emergente è diretta figlia dei social media e di Instagram. I viaggiatori spesso arrivano attratti da luoghi relativamente oscuri e poco frequentati, attratti dall’effetto virare di un post che qualcuno la lanciato sui media, e inducono la gestione e la manutenzione di luoghi che fino a ieri potevano essere lasciati al loro destino, in quanto deserti. E lo Stato non ha le risorse finanziare e umane per andare dietro a tutto.
Non è come 20 anni fa – spiega Quinlan – quando si arrivava con la famiglia, per fare il bagno in una o al massimo due tra le spiagge più celebri, e al massimo si andava a Pearl Harbour. Ora le persone arrivano dicendo ‘ho visto su Instagram o quel rope jumping estremo, o quella palma da cocco. E decine di posti che non avevano visitatori, ora li hanno”.
La stragrande maggioranza dei parchi e dei trekking oggi sono a ingresso gratuito. Si pagano solo alcuni, tra i siti più popolari, come il Diamond Head State Monument, che offre un sentiero che parte dalla base di un cratere vulcanico di 300mila anni e conduce alla sua estremità, e attira ogni anno un milione di appassionati: si paga 5 dollari a persona.
La proposta di legge al vaglio della Camera dei rappresentanti hawaiana propone di richiedere a tutti i non residenti di almeno 15 anni intenzionati a visitare come detto foreste, parchi, sentieri o “altre aree naturali nel territorio dello stato” di acquistare una licenza annuale sul web o via app. Chi violasse la regola dovrebbe pagare una sanzione civile, anche se si pensa di non imporre multe in un primo periodo di “educazione e transizione”. I residenti con una patente di guida hawaiana o un altro documento statale valido sarebbero esenti.
Nella prima versione della norma, passata al senato locale, l’ammontare della licenza era stato fissato a 50 dollari. Ora però la commissione finanze della Camera dei rappresentanti ha emendato questo valore. Il presidente della commissione, Kyle Yamashita, democratico, ha spiegato che la cifra è ancora un “work in progress”. Altri dettagli – alcuni non esattamente trascurabili, come quello che le spiagge, ad oggi, sono libere, e che non è ancora ben chiaro come andranno considerate in futuro. Qualcuno auspica che venga ufficializzata la lista dove non si potrà entrare senza licenza. Il governatore Green si è dichiarato flessibile su questi dettagli, dimostrandosi pronto a sostenere quello che sarà l’approccio finale del parlamento.
Secondo quanto dichiarano gli stessi promotori dell’iniziativa, negli States non esistono altre forme di tassazione del turismo simile, eccezion fatta per l’Alaska, dove ogni passeggero di nave da crociera paga 34,50 dollari.
L’emergenza conservazione ambientale dell’arcipelago è alta. Pestilenze invasive attaccano le foreste dello stato, inclusa un’infezione fungina che sta facendo strage di alberi ohia, una mirtacea che vive solo nell’arcipelago e che costituisce la maggior parte della foresta pluviale nativa. Una fetta consistente del “superlavoro” in materia è discendente diretto del turismo. I bagnanti che infastidiscono delfini, tartarughe o foche monache delle Hawaii sono un problema ricorrente. I trekker possono inconsapevolmente portare specie invasive nelle foreste locali, semplicemente “nascoste” nelle suole delle loro calzature tecniche. Barche, sommozzatori e snorkeler calpestano o appoggiano il loro peso sui coralli, aggiungeno stress a un grande organismo vivente già sotto stress a causa delle alghe invasive e dello sbiancamento, in altre parole del riscaldamento dell’acqua conseguenza dei cambiamenti climatici.
Uno studio della Ong Conservation International, ha stimato, nel 2019, che lo stato hawaiano spendeva, tra pubblico e privato, 535 milioni di dollari l’anno, contro i quasi 900 milioni necessari.
Interpellati di recente sulla prospettiva di una tassa annua di 50 dollari, gli escursionisti in vistia al Diamond Head trail hanno espresso pareri difformi, tra chi evidenziava il costo relativamente alto che avrebbe dovuto sostenere una famiglia con figli (magari non sapendo che l’idea è quella di esentare gli under 15) e chi invece evidenziava l’importanza della corretta informazione a fronte di un provvedimento giustificato.
Il parlamento ha in progeto di istituire un “Visitor impact special Fund” gestito dal Fipartimento della Terra e delle Risorse naturali dello stato hawaiano.
The legislation says proceeds would go into a “visitor impact fee special fund” managed by the state Department of Land and Natural Resources. Carissa Cabrera, manager di Hawaii Green Fee, una coalizione di ong che sostiene la misura, rimarca come questa potrebbe assicurare continuativamente il denaro necessario alla tutela dell’ambiente, indipendentemente dai possibili alti e bassi del bilancio dello stato.
Mufi Hanneman, numero uno della Lodging and Tourism Associatio che rappresenta gli alberghi dell’arcipelago, sostiene a sua volta il provvedimento, ma è convinto che le Hawaii debbano monitorare con attenzione il modo in cui quel dernaro verrà impiegato. “L’ultima cosa che vorremmo vedere sono servizi igienici che continuano a non funzionare, sentieri e cammini che non vengono rimessi in ordine. Insomma, vedere che le cose, anno dopo anno, rimangono come prima, e il tutto mentre i turisti pagano la tassa”.