Comprano boschi o li ricevono in affidamento. Poi lasciano che la natura faccia il suo corso. Le piante non si tagliano, il legno morto rimane a terra, animali e insetti sono liberi di circolare. Oltre alle riserve integrali dello Stato, ci sono più di 150 ettari di foreste che crescono in quasi totale assenza di intervento umano. Alcuni sono fazzoletti di qualche migliaio di metri quadrati, altri sono proprietà con superfici di quasi quaranta ettari come quelle in val di Vara tra Liguria e Toscana.
È una forma di rinaturalizzazione dal basso quella del Fondo Forestale Italiano, una onlus fondata da Emanuele Lombardi, un tecnico informatico dell’Enea e il cui unico mandato è acquistare boschi per farli crescere in totale libertà. Una custodia passiva ispirata alla Half-Earth, il modello di intervento del biologo Edward O. Wilson secondo cui proteggere almeno metà del nostro pianeta aiuterebbe a preservare la maggioranza delle specie.
Una delle ultime affiliazioni alla onlus è il bosco della Bandita a Giove in provincia di Terni. Un’area di quattro ettari che conta diverse querce vetuste ed è parte di un’antica foresta ormai svanita che si chiamava Rosario e che per secoli ha offerto alle popolazioni locali risorse come ghiande, funghi e acqua pulita. E’ stata acquistata qualche anno fa con fondi propri da un privato cittadino, che si chiama Carlo Papalini e proviene da una famiglia di imprenditori del viterbese, e oggi è stato affidato alle cure dell’associazione.
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“Ma le donazioni nascono dai motivi più disparati – spiega Emanuele Lombardi, presidente della onlus – In molti casi ci sono proprietari che hanno grandi boschi ma non sanno cosa farsene. Oberati da costi e tasse, scelgono di lasciarli a noi per proteggerne il valore naturalistico”. Le storie delle singole particelle rivelano che il passaggio di mano non è sempre una scelta condivisa da tutta la famiglia e che non sono mancate rinunce dell’ultimo minuto su pressione di eredi e altri pretendenti.
Queste aree in libera crescita sono concentrate sul versante centrale e tirrenico dell’Appennino ma ce ne sono anche in Valle d’Aosta, nella remota Valpelline a confine con la Svizzera e in Calabria, in un comune raso al suolo nel Seicento da un terremoto. Il lascito più consistente ricevuto finora dal Fondo sono i quasi quaranta ettari di bosco a Sesta Godano in provincia di La Spezia.
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L’associazione organizza spesso raccolte fondi per coprire le spese notarili ma ha già acquistato di tasca propria terreni agricoli, o degradati, per riportare alberi e specie vegetali autoctone. Oltre alla protezione della wilderness l’associazione, in collaborazione con il comune di Certaldo in provincia di Firenze, ha recuperato e ampliato le foreste del Parco di Canonica, un’area verde semi-urbana di poco superiore ai novanta ettari che tutela un’ampia porzione di boschi e territorio agrario nel cuore della Valdelsa.
Un altro bosco in libera crescita, che in questo caso verrà presto donato al Fai, è quello di Valzo in provincia di Teramo. L’area di trenta ettari, sul confine orientale del Parco nazionale d’Abruzzo, è stata acquistata oltre dieci anni fa dal botanico Franco Pedrotti, professore emerito dell’Università di Camerino e uno dei padri del sistema italiano delle aree naturali protette. La foresta è intitolata a quella che è stata la compagna di una vita, la lichenolga Carmela Cortini.