I botanici, nel deserto costiero del Perù, arrivano dal cielo a bordo di un parapendio motorizzato. Raccolgono campioni di piante a rischio estinzione altrimenti irraggiungibili con il più resistente dei fuoristrada. Il primo abitato, in caso di soccorso, è a cinque giorni di viaggio. Se il SUV si insabbia, conservare il materiale è l’ultimo dei problemi. In caso di guasto meccanico lo stesso può accadere con il paramotore ma spostarsi in linea d’aria è molto più veloce e permette di sfruttare le finestre di visibilità e l’assenza di raffiche di vento. Tra giugno e agosto, nel picco dell’inverno, ma in generale durante tutto l’anno questo ambiente è spesso sotto una cortina di nebbia che risale dal Pacifico verso l’entroterra e vanifica qualsiasi tentativo di orientamento.
Per superare questo ostacolo in apparenza invalicabile la botanica si è rivolta agli sport estremi. A novembre del 2022, nell’ultima spedizione dei Kew Gardens in questi ecosistemi aridi che si estendono per circa tremila chilometri lungo la costa di Perù e Cile, sono stati imbarcati anche tre professionisti brasiliani di questa disciplina.
I risultati, pubblicati in uno studio uscito in questi giorni sulla rivista internazionale Plants, People, Planet dimostrano che il parapendio azionato ad elica, nelle missioni più lunghe, è nove volte più veloce di un 4×4 e produce solo un terzo delle emissioni in atmosfera. I veicoli su gomma, al contrario di questi overboard aerei, lasciano anche tracce sulla sabbia che possono alterarne la biologia o creare dei sentieri per malintenzionati cacciatori di piante.
“L’umidità è parte del ciclo vitale di questi fenomeni di fioritura temporanea chiamati llomas in Perù e oasis de niebla in Cile. – spiega Carolina Tovar, ricercatrice dei Kew responsabile della ricerca – Con una media di circa dieci millimetri di pioggia all’anno la vegetazione si è adattata affidandosi solo all’umidità della nebbia che soffia dal Pacifico generando habitat effimeri”.
Questo deserto ospita oltre 1.700 specie di piante molte delle quali sono vulnerabili sia ai cambiamenti climatici che alle attività umane. Gli scienziati di Kew li studiano da quasi un secolo ma sono molto difficili da individuare perché in alcune aree compaiono solo una volta ogni dieci anni.
La spedizione dei Kew, durata una settimana ha esaminato, sia dal cielo che da terra, circa 15mila ettari di deserto. In particolare si è concentrata su ambienti dominati dalle tillandsie, un genere di bromelie originarie del continente americano che conta epifite delle foreste tropicali, ovvero piante che vivono sugli alberi o nelle rocce, così come specie che crescono a terra come l’ananas, nei deserti e sugli altopiani andini. Sulla superficie delle foglie delle tillandsie, spesso simili a tentacoli, ci sono cellule specializzate nel catturare le goccioline d’acqua trasportate dalla nebbia. In ambito commerciale le varietà di questo genere botanico sono spesso proposte dai vivai come piante d’aria per questa capacità di trattenere l’umidità e per bisogno di poca manutenzione.
Le tillandsie coprono ampie fasce del deserto iperarido del Perù e sono scarsamente studiate. Spesso non sono registrate dai satelliti perché la superficie delle foglie agisce come un mantello invisibile.
“La biodiversità associata alle oasi di nebbia si è evoluta in modo molto simile a quella degli arcipelaghi insulari con una presenza di endemismi vegetali, ovvero piante che proliferano solo in questi ambienti, che sfiora il 70 per cento. – conclude la ricercatrice di Kew – Civiltà come quella di Nasca si sono sviluppate attorno a questi ecosistemi, dimora ancestrale di diversi importanti parenti selvatici delle colture agricole come diverse specie di patate, pomodori, zucche e papaya, nonché specie di piante medicinali e tintorie”.