“Matto come un cavallo”. Quindi impulsivo, emotivo, pronto a interpretare ogni azione come una potenziale minaccia, per reagirvi con la fuga ventre a terra. Caratteristica, la corsa, che per millenni ha fatto di questi animali i migliori alleati dell’essere umano nei trasporti, nei viaggi, nelle guerre. Non si è mai detto invece “intelligente come un cavallo”. E in effetti siamo abituati a un concetto di intelligenza plasmato su di noi e al più sui carnivori, spesso alle prese nella caccia con la necessità di concepire strategie e risolvere problemi. Quale intelligenza volete che serva per pascolare in una steppa e al più fuggire al galoppo se si avvicina un predatore? E così, anche tra molti appassionati si è radicato il luogo comune che i cavalli, per quanto affascinanti, espressione di forza e bellezza, siano, in fin dei conti, assai poco intelligenti.

Il dubbio non poteva che essere risolto con un esperimento scientifico. E non potevano essere che ricercatori britannici (popolo che ha un debole trasversale per questi animali) a concepire uno studio ad hoc. Ci si sono dunque cimentati gli etologi della Nottingham Trent University pubblicando poi i risultati sulla rivista Applied Animal Behaviour Science.

Secondo gli autori, lo studio ha suggerito che i cavalli sono più intelligenti di quanto si pensasse in precedenza, essendo stati osservati adattarsi rapidamente a un gioco basato su premi con regole variabili.

L’esperimento

Ma come si fa un esperimento per testare l’intelligenza di un quadrupede? Dimenticate il cavallo Hans, fenomeno da baraccone di inizio Novecento, che secondo il suo proprietario era in grado di far di conto e di dare il risultato picchiando un certo numero di volte lo zoccolo a terra. I ricercatori di Nottingham hanno coinvolto venti animali e, inizialmente, li hanno gratificati con un premio ogni volta che toccavano un pezzo di carta con il naso.

Nella seconda fase, è stato introdotto un “semaforo” e la regola è stata modificata in modo che la ricompensa fosse data solo se toccavano la carta mentre il semaforo era spento. Questo però non ha alterato il comportamento dei cavalli, che hanno continuato a toccare la carta indipendentemente dallo stato del semaforo. Poi le regole non sono cambiate una terza volta: nella fase finale, i ricercatori hanno introdotto una penalità, un timeout di 10 secondi, nel rilascio del premio per chi toccava la carta mentre il semaforo era acceso. Tutti e venti i cavalli hanno imparato e pur di ottenere la ricompensa immediatamente hanno rispettato lo stop del semaforo. Dimostrando così di saper elaborare, in certi particolari contesti, una strategia.

La regola del “semaforo”

“Ci aspettavamo che le prestazioni dei cavalli sarebbero migliorate quando abbiamo introdotto il timeout, ma siamo rimasti sorpresi da quanto immediato e significativo sia stato il miglioramento”, ha affermato la ricercatrice Louise Evans. I cavalli hanno dunque capito la regola del semaforo, e se non l’hanno rispettata fin da subito è probabilmente perché, ammettono gli autori dello studio, il costo della “violazione” era troppo basso: toccare la carta con il muso non è poi uno sforzo così grande, anche se non c’è ricompensa. Ma se la ricompensa è certa voglio averla subito e non dopo dieci secondi.

Al netto delle sfumature di psicologia equina, lo studio dimostra che i cavalli non hanno cervelli evolutisi per rispondere solo a stimoli immediati e non sufficientemente complessi da elaborare strategie.

L’intelligenza emotiva

D’altra parte, in attesa che nuovi test la confermino, l’intelligenza di questi grandi erbivori era già un concetto abbastanza diffuso tra le nuove generazioni di appassionati e addetti ai lavori. Se fino alla metà del secolo scorso il rapporto tra esseri umani e cavalli era tutto basato sulla coercizione, su meccanismi premio-punizione (carota o bastone?), con l’affermarsi della doma dolce e dei cosiddetti “sussurratori” il mondo equestre ha subito una rivoluzione copernicana: “Il cavallo è una delle creature più intelligenti che abbiamo su questo Pianeta, ed è in grado di percepire cose che noi non possiamo nemmeno cominciare a comprendere”, ha detto Monty Roberts, uno dei pionieri della nuova interazione umano-equino. Il segreto è stato osservare i cavalli in natura, nelle relazioni con i loro simili, in modo da comprendere il loro linguaggio, piuttosto che dominarli pretendendo che comprendessero il nostro, magari a forza di frustate e speronate. Non a caso, secondo Pat Parelli, altro grande della doma dolce, “I cavalli hanno una capacità unica di insegnarci la leadership e l’importanza della comunicazione”. E per sua moglie Linda: “I cavalli possono aiutarci a sviluppare una maggiore consapevolezza di noi stessi e la nostra intelligenza emotiva”.

Ed è forse proprio questa l’espressione cruciale: intelligenza emotiva. Se ci si aspetta che un cavallo faccia di conto o risolva problemi logici siamo sulla cattiva strada. Ma se si tratta di comprendere le emozioni altrui ed entrare in empatia con gli altri, questi straordinari animali non sono secondi a nessuno. E non c’è bisogno di premi e semafori per dimostrarlo.