Che impatti sta avendo, dopo quasi otto mesi, l’invasione russa sulla natura e l’ambiente dei territori ucraini? Mentre migliaia di persone continuano a morire nell’escalation di bombe e violenza del conflitto, le risorse naturali dell’Ucraina appaiono oggi – anche se è complesso fare stime concrete – sempre più compromesse.
Si ipotizza che il 30% delle aree protette del Paese, circa 3 milioni di acri di foreste, zone umide e ambienti naturali, sia stato bombardato, inquinato o colpito da manovre militari, secondo il Ministero della Protezione ambientale ucraino.
Solo nei primi quattro mesi di invasione si contano 37mila incendi: a pagare il conto finora sono stati gli ecosistemi delle steppe, le piante e gli animali, i fiumi del Donbass inquinati e si temono alti danni legati al diboscamento illegale dei Carpazi e in particolare a soffrire potrebbero essere 44 specie di piante endemiche della penisola del Mar Nero. Inoltre, aspetto di cui ancora si hanno poche informazioni, ci sono tutti i possibili danni nella zona della centrale di Zaporizhzhia.
Nel Donbass si hanno intanto notizie di diversi impianti industriali danneggiati o abbandonati e le fognature distrutte stanno riversando inquinanti nei fiumi, così come si contano criticità legate ad alcuni oleodotti che hanno compromesso le zone umide contaminandole con petrolio. Altre stime, come quelle di Wwf Central & Eastern Europe e Wwf Ucraina, indicano la possibilità che siano almeno 280mila gli ettari di foreste distrutte o abbattute.
Tutte condizioni su cui è complesso, e in molti casi impossibile, avere certezze, dato che diverse zone naturali sono off-limits a causa della guerra. Una di queste è l’importante riserva naturale di Drevlyansky in Ucraina, considerata un tempo un santuario incontaminato per la fauna selvatica. Qui, insieme ai corrispondenti Bbc, la guardia forestale Valeri Stepanenko Oleksandrovych, in uniforme militare e protetta da un gruppo di uomini armati, è tornata all’interno della riserva per provare a tracciare i possibili danni ambientali causati dal conflitto. Lo scenario è tragico: per l’esperto serviranno decenni alla natura per riprendersi.
Nella riserva c’è infatti un problema di mine, che hanno già causato la morte di diversi mammiferi fra cui i cervi, e delle conseguenze dei bombardamenti che hanno portato a bruciare numerose specie di fiori e piante della zona. Quest’area, tra laghi, boschi, foreste e zone umide, è così ricca di fauna – dai lupi sino alle linci o le alci – che è chiamata anche l’Amazzonia d’Europa.
Situata in quella che viene indicata come Polesia, a circa 80 chilometri da Chernobyl, dopo le ripercussioni dell’incidente del 1986 la zona anche grazie all’assenza di essere umani e impatto antropico si era ripresa talmente bene da contare circa 500 specie di fauna e oltre 800 di vegetali.
Oggi però secondo i primi sopralluoghi di Valeri Stepanenko Oleksandrovych buona parte della riserva è in pericolo: “Le mine terrestri russe sono la peggiore eredità lasciata dall’invasione, insieme agli incendi e ai danni da bombardamento” spiega.
Qui sono andati in fiamme circa 2mila ettari di foresta incontaminata disperdendo la fauna selvatica, frammentando gli habitat e bruciando centinaia di piante rare. Secondo l’esperto “la fauna selvatica in questa parte di Ucraina non tornerà presto”, anche perché la terra non offre più cibo e nemmeno condizioni di riparo.
Lungo i sentieri della riserva sono state viste diverse carcasse di animali probabilmente uccisi dalle mine: allo stesso tempo oggi quei sentieri e le piste sterrate che i ranger utilizzavano per controllare l’area sono troppo pericolose da usare per cui è impossibile verificare l’esatta portata dei danni.
Quel che è certo è che più il conflitto andrà avanti, più le politiche necessarie per una bonifica e per implementare la conservazione e la protezione animale dovranno attendere. Così facendo, sostiene la guardia forestale, “è probabile che dovremmo attendere decenni” prima che l’Amazzonia d’Europa riesca a riprendersi.