Dopo quasi un decennio di inarrestabile crescita, i fondi Esg hanno subito nel corso di quest’anno la prima frenata. Il saldo netto dei flussi, ovvero la differenza fra acquisti e riscatti, resta positivo, ma il loro valore è in netto calo rispetto agli anni scorsi.
Situazioni controverse
I ribassi dei listini e il brutto momento delle obbligazioni hanno certamente influito su questa performance, ma hanno fatto sentire tutto il loro peso anche fattori strettamente connessi agli investimenti sostenibili, come per esempio gli scandali e le accuse di greenwashing mosse ad alcuni emittenti e la confusioni che ancora regno su cosa è esattamente Esg e cosa non lo è. La decisione della Commissione Ue di includere il gas e il nucleare nell’elenco della tassonomia europea delle attività economiche considerate sostenibili con precisi limiti in termini di emissioni per la produzione di energia da queste due fonti ha scatenato non poche polemiche e disorientato i risparmiatori.
Il mercato si fa più esigente
Andando ad analizzare nel dettaglio i flussi tutte queste dinamiche emergono chiaramente. Secondo i dati raccolti da Morningstar i fondi articolo 8 Sfdr hanno fatto registrare un deflusso netto di 8,7 miliardi di euro, mentre gli articolo 9 hanno raccolto 12,6 miliardi di euro netti. Gli articolo 8 dovrebbero “promuovere” le caratteristiche Esg, mentre gli articolo 9 hanno “obiettivi” Esg misurabili. Solo gli articolo 9 sono dunque pienamente Esg, mentre gli articolo 8 hanno requisiti decisamente meno stringenti.
“Identificare l’universo dei fondi sostenibili europei è sempre stata una sfida, ma è diventata ancora più grande dopo l’introduzione della Sfdr – spiega Hortense Bioy, direttore globale della ricerca sulla sostenibilità di Morningstar – Il regolamento ha sostanzialmente aumentato il volume delle informazioni Esg nei documenti legali, ma ha anche portato a confusione e sospetti di greenwashing. Molti prodotti che si collocano sotto l’articolo 8, per esempio, non sono fondi che classificheremmo indipendentemente come sostenibili”.
Secondo gli stessi esperti di Morningstar continuano però ad esserci validissimi motivi per gli investimenti Esg. Anche tenendo conto di tutte le criticità emerse di recente. Innanzitutto l’analisi Esg mette in evidenza rischi che altrimenti rimarrebbero nascosti. In secondo luogo il cosiddetto “stakeholder capitalism”, ovvero il capitalismo che tiene conto delle esigenze di tutti gli stakeholder compresi per esempio i consumatori e i fornitori e non solo i soci, costringe le aziende a migliorare. I fondi Esg, poi, devono rispettare normative più stringenti e anche questo porta a un miglioramento dell’efficienza e del controllo dei rischi.
Sensibilità crescente tra i piccoli
Non va infine dimenticata la domanda di investimenti Esg da parte dei risparmiatori. Questa domanda è destinata a durare e a sostenere le quotazioni degli asset sostenibili. Si tratta di un parametro puramente finanziario, che ha però dirette e importanti conseguenze sulle quotazioni.
Si spiegano anche così i dati raccolti da Bank of America Global Research (Bofa), secondo i quali i fondi azionari europei Esg nel terzo trimestre hanno registrato afflussi netti per 1,1 miliardi di euro, contro deflussi netti per 35 miliardi tra i non Esg. La crescita tra i primi è stata trainata dagli Etf – i fondi che replicano gli indici – che ormai valgono per il 30% di tutti gli asset gestiti con focus sulla sostenibilità, rispetto al 18% di cinque anni fa.
La stessa Bofa segnala che nei primi dieci mesi di quest’anno i fondi Esg hanno ottenuto performance mediamente migliori di due punti percentuali rispetto agli altri (il differenziale arriva al 5% annuo nel confronto quinquennale). Un dato tutt’altro che scontato se si considera che qualche mese fa molti analisti pronosticavano una rotazione di portafoglio in favore delle società meno attente ai temi della sostenibilità, sulla spinta del caro energia e degli accresciuti investimenti nella difesa.