Sempre più piccoli e sottili, se non cambieremo rotta i ghiacciai avranno poche speranze per il futuro. Negli ultimi 30 anni il processo di rimpicciolimento causato dal riscaldamento globale ha subito un’accelerazione sulle Alpi, portando le masse glaciali sempre più in alta quota e frammentate in corpi più piccoli. L’allarme è stato lanciato da Legambiente e Comitato glaciologico italiano (Cgi) al termine della seconda edizione della “Carovana dei ghiacciai“, la campagna itinerante che dal 23 agosto al 13 settembre ha monitorato lo stato di salute di 13 ghiacciai alpini e del glacionevato del Calderone, nel massiccio del Gran Sasso.
La fotografia scattata dai monitoraggi è impietosa. I ghiacciai dell’Adamello hanno perso oltre il 50% della superficie totale, quelli del Gran Paradiso circa il 65%. In Alto Adige 168 ghiacciai si sono frammentati in 540 unità distinte. In Friuli Venezia Giulia il ghiacciaio orientale del Canin oggi ha uno spessore medio di 11,7 metri, circa 150 anni fa superava i 90. E se ci spostiamo sulla vetta più alta degli Appennini, il Gran Sasso, qui il ghiacciaio del Calderone, dal 2000, si è suddiviso in due glacionevati e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai delle Alpi.
Dall’Adamello al Calderone: come erano i ghiacciai italiani che stanno scomparendo
La crisi climatica minaccia i ghiacciai, anche quelli italiani. La loro massa glaciale si è ridotta del 70 per cento e, entro il 2050, quasi tutti i ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri nelle Alpi molto probabilmente scompariranno. Per monitorarli Legambiente e il Comitato glaciologico italiano (Cgi) sono pronti a partire con la seconda edizione di “Carovana dei ghiacciai”, la campagna itinerante che dal 23 agosto al 13 settembre monitorerà lo stato di salute di 13 ghiacciai alpini e del glacionevato del Calderone, nel massiccio del Gran Sasso
“I dati che abbiamo raccolto – spiega Vanda Bonardo, responsabile nazionale Legambiente Alpi e coordinatrice della campagna – sono un’ulteriore conferma del quadro dall’allarme lanciato dall’Ipcc. Se riusciremo a limitare il riscaldamento globale sotto la soglia dei 1,5 gradi a fine secolo sopravviverà un terzo dei ghiacciai, in caso contrario scompariranno del tutto. La dimensione globale e la velocità di questo ritrarsi dei ghiacciai non ha precedenti da almeno alcuni millenni”.
Da metà ottocento i ghiacciai presenti sul Massiccio dell’Adamello, il più esteso in Italia, hanno perso oltre il 50% della superficie totale. Sempre sull’Adamello si sta registrando una progressiva riduzione di spessore pari a 10-12 metri dal 2016 ad oggi. Oltre la regressione, i ghiacciai subiscono fenomeni di disgregazione e frammentazione che hanno portato i 168 ghiacciai dell’Alto Adige a frammentarsi in 540 unità distinte. Nel 2005 erano solo 330 a dimostrazione di come il fenomeno di frammentazione dei ghiacciai stia accelerando. Anche la novantina di corpi glaciali del Gran Paradiso, altra area osservata con la CdG, è particolarmente sensibile al riscaldamento atmosferico: in meno di due secoli, dalla fine della Piccola Età Glaciale (1820-1850), i ghiacciai del Gran Paradiso hanno perso circa il 65% della loro superficie, passando da circa 88 km2 a meno di 30 km2.
I ghiacciai del Canin hanno perso complessivamente in un secolo circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume. I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 km2 di fine Piccola Età Glaciale (PEG), terminata intorno al 1850, ai 0.38 km2 attuali. Le stime della riduzione volumetrica indicano un passaggio delle masse glaciali dai 0.07 km3 circa della PEG ai circa 0.002 km3 di oggi. Alla fine della PEG, alcuni settori del ghiacciaio del Canin superavano i 90 metri di spessore, mentre oggi il ghiacciaio orientale del Canin ha uno spessore medio di 11.7 metri con valori massimi di circa 20.
C’è anche da sottolineare che per l’area del Canin i cambiamenti climatici, caratterizzati da estati sempre più roventi, ma anche dall’aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa, hanno comportato un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni. Ma questo aumento nevoso paradossalmente è anch’esso un segno del riscaldamento climatico, poiché esso comporta l’aumento degli eventi estremi come uragani, forti temporali, alluvioni, e tempeste. Inoltre, un evento estremo può significare il persistere di un evento più a lungo rispetto alla norma; ad esempio, per molte settimane nello stesso luogo possono mancare precipitazioni, oppure al contrario sempre nello stesso luogo può piovere o nevicare a lungo così com’è successo nell’area del Canin.
Analoga peculiarità è stata riscontrata sul glacionevato del Calderone. Questo corpo glaciale di modestissime dimensioni, dal 2000 è suddiviso nei due glacionevati (Calderone superiore ed inferiore) ricoperti del solo detrito a fine estate, e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai presenti sulle Alpi. La sua posizione al centro dell’area mediterranea e la ridotta distanza dal mare rendono particolarmente intensi gli effetti dal punto di vista meteorologico che si manifestano con gli elevati apporti nevosi a cui si contrappongono le sempre più frequenti ondate di calore africane con le sabbie in sospensione che favoriscono in maniera molto ingente i fenomeni di fusione. Questa sua capacità di risposta veloce lo rende particolarmente idoneo per gli studi sui cambiamenti climatici.
Carovana dei ghiacciai è stata inserita nella piattaforma All4Climate – Italy che raccoglie tutti gli eventi dedicati alla lotta contro i cambiamenti climatici che si svolgeranno quest’anno in vista della Cop26 di Glasgow. E proprio in vista di questi eventi ha colto l’occasione per chiedere che si acceleri il passo nelle politiche climatiche partendo da una drastica e rapida riduzione delle emissioni di CO2, metano e altri gas serra.
“I dati presentati nelle conferenze scientifiche della Carovana – dichiara Marco Giardino, segretario del Cgi – si sono rivelati indispensabili per interpretare gli effetti locali del riscaldamento climatico in atto e disegnare gli scenari futuri dell’ambiente d’alta quota nel nostro Paese. Il messaggio finale non è certo privo di preoccupazione per l’accelerata riduzione delle masse glaciali, ma anche pieno di consapevolezza che i frutti della ricerca glaciologica sono indispensabili per rafforzare le politiche di mitigazione e progettare azioni mirate di adattamento al riscaldamento climatico”.
La scelta di presentare i risultati dello studio il 17 settembre non è casuale: il 24 i ragazzi di tutto il mondo torneranno in piazza per lo sciopero globale per il clima e Legambiente coglie l’occasione per lanciare un messaggio al governo Draghi: “È urgente mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima per arrivare a emissioni di gas a effetto serra nette pari a zero al 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi. Non si può aspettare”.