Un’immersione nella natura, al fianco dei lupi, per ricordarci che tutti noi facciamo parte di essa e forse dovremmo smetterla di guardarla come un giardino pensato a uso e consumo dell’uomo. Non solo, anche un viaggio fra le colline e le periferie d’Italia, per raccontare il ritorno del lupo, di come si sta avvicinando a noi e per indagare sui confini di una complessa coesistenza. La zoologa Mia Canestrini, dopo il suo esordio letterario con “La ragazza dei lupi” e un romanzo dedicato ai ragazzi (“Custode di cuori”), torna ad indossare gli stivali e camminare nel fango per inseguire le orme, lungo tutto lo Stivale, dell’animale che studia da sempre: il risultato del suo viaggio è un nuovo libro, “Nelle terre dei lupi – Storie italiane di un ritorno” (Piemme, 18,90 euro), in libreria dal 7 febbraio.

L’autrice, oggi impegnata in vari progetti di divulgazione e  insegnamento, così come nella conduzione de “Il Provinciale” sulla Rai, racconta il sentimento da cui è nata questa nuova avventura letteraria e perché è sempre più necessario guardare alla Natura con occhi nuovi.

Il libro

Perché il lupo non deve farci paura

di Giacomo Talignani

In questo nuovo libro racconti il ritorno dei lupi. Che cosa hai scoperto durante il tuo viaggio lungo l’Italia?

“I dati sul ritorno del lupo sono incoraggianti, si parla di ormai oltre 3mila esemplari. In questo libro ho provato a raccontare la mia esperienza in Irpinia e in varie zone della Penisola, una sorta di diario di viaggio. Ho ripercorso i luoghi in cui il lupo è tornato, talvolta in zone insolite, tra cui il Salento, le coste della Toscana, la Pianura Padana, la periferia di Milano ma anche le Alpi. Quello che ho osservato non è solo la presenza di questo animale, ma anche il ritorno della natura e che cosa può significare l’arrivo del lupo in luoghi spesso molto urbanizzati, facendo alcune riflessioni”.

Festival Green&Blue, Mia Canestrini: “Il lupo non è ‘cattivo’, tuteliamo la sua presenza sul territorio”

Per esempio?

“Parlo di una convivenza complicata con l’uomo. Oggi i lupi si spingono anche in aree turistiche o dove ci sono molti cani randagi. Il ritorno del lupo è positivo ma al tempo stesso ci ricorda però che occupiamo gli stessi territori, oggi  molto più densamente popolati e questo porta ad incidenti: ai lupi che si accoppiano in Basilicata con cani, come è avvenuto davanti agli occhi delle persone, oppure a quello che a Otranto ha strappato il vestito di una bambina, o ancora a esemplari che sono sempre più vicini alle periferie urbane. Sono andata in quei luoghi per capire come questo veniva vissuto”.

Biodiversità

Quanti sono e dove vivono i lupi in Italia

di Cristina Nadotti

C’è chi accetta la convivenza e chi no. Un’Italia divisa in due sui grandi predatori?

“In parte. Nel libro per esempio racconto di una associazione in Maremma che si chiama Difesa Attiva. Sono stata a casa di una allevatrice dell’associazione,  Francesca, per chiederle come viveva il rapporto con lupo: lei ha deciso di percorrere la strada della coesistenza, considerando il lupo come elemento del paesaggio così come caprioli, istrici o alberi e, sempre con le dovute attenzioni, lo ha inglobato anche nel suo paesaggio mentale. Se si accetta che facciamo parte della stessa natura la coesistenza può funzionare. Però in Italia gli allevatori che vogliono percorrere questa strada spesso sono ostacolati, boicottati da altri che invece il lupo lì non lo vogliono. Pastori che spesso parlano di equilibrio con l’ambiente ma in realtà sono molto occidentalizzati: il predatore per loro non è una cosa buona, il paesaggio dovrebbe solo essere un giardino pensato a uso e consumo dell’uomo, quasi una visione da vangelo. Ma non è così, la natura non è a nostro piacimento”.

Dovremmo dunque ripensare al nostro rapporto con la natura?

“Io provo a prendere il lupo come simbolo del ritorno della natura, il che non significa che si stia riappropriando e basta di spazi che gli erano stati tolti dall’uomo e dalla società, ma ha in sé un messaggio molto più profondo: noi non siamo staccati dalla natura, non siamo qualcosa a parte, ma ne siamo parte integrante. Se la natura si riappropria di spazi, anche quelli che ci siamo presi, è perché ci vuole dentro di lei. Non ci vuole come qualcosa di estraneo, come racconta bene l’antropologo francese Philippe Descola. Quindi dovremmo smetterla di avere una posizione di alterità rispetto a lei”.

E come possiamo cambiare visione?

“Allargando lo sguardo ad altri popoli e culture dove non si fa distinzione fra umani e natura. Dobbiamo recuperare tradizioni e sapere antico dei popoli indigeni, centinaia di milioni di persone nel mondo che hanno stili di vita – anche nelle comunità rurali europee – molto più ecosostenibili, compatibili con il modello al quale dovremo ispirarci per il futuro. Uno stile che ci mette, insieme alle altre specie, all’interno del sistema naturale. Al contrario, soprattutto in Occidente, finora ci siamo auto espulsi e questo non funziona. E’ come se noi avessimo pungolato una enorme bestia che dormiva e questa ha dato un colpo di coda che si è assestato in maniera violenta:  estinzioni di specie, crisi del clima,  perdita di biodiversità. Dobbiamo adattarci: il Pianeta sopravviverà, ma non è detto che noi saremo comunque inclusi nel pacchetto”.

Quanto siamo lontani da questo equilibrio?

“Abbastanza. A volte – è un concetto difficile, che può sembrare scomodo – ci dimentichiamo che essere parte del sistema natura vuol dire anche lottare per la propria sopravvivenza, e che talvolta significa uccisione, tra le specie rispetto alle altre. Se pensiamo ad Amazzonia, Sud-est asiatico o anche i nostri contadini, nessuno si sogna di fare una paternale perché si caccia un animale per cibarsi: questo perché c’è un equilibrio, non se ne abusa. C’è vita nella lotta, ma questo è accettabile solo se facciamo parte del sistema natura, rispettandola”.

Come accaduto con l’orso Juan Carrito, morto investito, la vicinanza fra uomini e predatori comporta rischi per entrambi. Anche i lupi stanno diventando più confidenti?

“Sì anche i lupi oggi sono animali più confidenti, sta già succedendo da qualche anno, soprattutto nelle zone di collina, pianura, talvolta anche in montagna. I lupi si stanno abituando a muoversi anche durante le ore del giorno, se incrociano persone sono meno timorosi perché ci considerano a loro volta parte del loro paesaggio. Per decenni noi siamo stati per loro una minaccia terribile, mentre da una quindicina di anni stanno capendo che non siamo più una  minaccia. I rischi? Qualcuno, soprattutto però per cani e gatti dei paesi e delle periferie, parlo di predazioni. Ci vogliono sempre molte precauzioni”.

Quali precauzioni?

“Adesso che i lupi sono più vicini ai centri urbani bisogna ricordarsi di evitare il loro avvicinamento, non lasciare animali domestici all’esterno oppure fonti di cibo che li attirano. Ma anche rallentare su certe strade dove possono essere presenti: purtroppo si stanno verificando tanti investimenti in bassa collina. Dobbiamo sempre ricordarci, come accade per i cinghiali che si avvicinano alla spazzatura a Genova o Roma, che gli animali sfruttano le risorse che noi offriamo, dunque queste vanno evitate. Oggi però c’è un problema più complesso: è la natura che sta bussando a tutte le porte vicino a noi, dato che aumentano caprioli, nutrie, cinghiali o randagi vicino alle nostre case, e il lupo chiaramente si avvicina alle sue prede. La natura è velocissima nel riprendersi ed espandersi: per migliorare il nostro rapporto dobbiamo essere rapidi anche noi nel cominciare a sentirci parte di lei”.