I mari che circondano l’Italia si stanno innalzando dai 2 ai 3 millimetri all’anno. “Lo dicono i dati raccolti negli ultimi decenni. E il fenomeno continuerà, con la stessa entità se non peggio, anche negli anni a venire”. La conferma arriva da Giovanni Coppini, direttore della divisione Global coastal ocean, presso il Centro euro mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). “Dalle nostre osservazioni emerge una situazione di rischio elevato per le coste italiane. Tra gli obiettivi delle nostre ricerche c’è anche la localizzazione delle informazioni sull’innalzamento del mare lungo le coste italiane, per capire dove gli impatti rischiano di essere più importanti”.

Le regioni con tratti di costa che corrono il maggior pericolo di finire sott’acqua sono la Puglia (un innalzamento di 3,5 millimetri l’anno contro una media di 2,6 del reato dell’Adriatico), il nord della Toscana, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, e naturalmente il Veneto, con Venezia e la sua Laguna.

“Le nostre previsioni riguardano non lo scenario peggiore possibile (quello con il totale scioglimento dei ghiacci di Groenlandia e Polo Sud, ndr) ma uno scenario medio”, avverte Coppini. “Ma anche in tal caso, un innalzamento di 2-3 millimetri l’anno potrebbe avere effetti molto pesanti”. I tre effetti collaterali più pericolosi sono: l’erosione costiera, l’intrusione salina nelle falde acquifere, gli impatti delle inondazioni costiere. Un mix che all’Europa costerà fino a 872 miliardi di euro entro la fine di questo secolo. Nelle diverse zone costiere ci può essere una differente combinazione di fattori che possono aggravare l’impatto degli innalzamenti del livello del mare.

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Venezia e la Laguna di Venezia ora sono protetti del Mose, ma c’è bisogno di una pianificazione costiera molto più articolata, altrimenti ci ritroveremo con un Mose sempre più chiuso e con un crescente problema di qualità delle acque all’interno della Laguna”, spiega il ricercatore del Cmcc. “La Campania e la Calabria sono a rischio soprattutto per lo scarso apporto di sedimenti dai fiumi, fenomeno che accelera l’erosione costiera. E che dipende dall’irregimentazione dei fiumi, dall’aver costruito lungo gli argini, dalla gestione delle dighe e dalla cementificazione delle coste. Perché più si costruisce sulla costa, più si interrompe il flusso di sedimenti verso il mare”. La Toscana settentrionale, con le province di Massa Carrara, Lucca e Livorno, è invece osservata speciale per la subsidenza e l’erosione costiera. In Puglia, invece, la subsidenza è minima, ma in molte zone le costruzioni sulla costa hanno ridotto l’apporto di sedimenti. E lo stesso vale per Sardegna e Sicilia“.

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Visto che è inimmaginabile (e sarebbe anche dannoso) costruire un Mose intorno a tutta l’Italia, cosa si può fare per evitare di finire sott’acqua? “Nei prossimi anni sarà fondamentale una nuova pianificazione costiera”, risponde Coppini. “Ci sono già best practice che possono essere prese a modello. Noi, per esempio, seguiamo un bellissimo progetto a Civitavecchia finanziato dall’autorità portuale. Come dobbiamo ripristinare le foreste a terra, allo stesso modo dobbiamo ricostruire le praterie di posidonia in mare o le dune sulle coste, per limitare i danni delle mareggiate. I cambiamenti climatici sono difficili da fermare, ma non ci possiamo adattare”. Viene il dubbio che si cerchi di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. “Assolutamente no, siamo ancora in tempo. Anche su coste molto urbanizzate”, sottolinea Coppini. “In questo senso, un’altra best practice è nella zona sud di Rimini: tra la spiaggia e gli edifici è stato costruito un muro in cemento per proteggere l’abitato dalle mareggiate. Poi il muro è stato rinaturalizzato “nascondendolo” in una duna ora verdissima e piena di palme”.