Speranza a secco per le nuove generazioni: è questo il grido di allarme di diversi militanti ambientalisti sparsi in tutta Europa. Dai blocchi di strade e aeroporti ai colpi nei musei, fino lanci di vernice contro chi viene considerato responsabile della crisi climatica, sempre più frequenti e radicali le azioni che i militanti di gruppi – come l’inglese Just Stop Oil e un’Ultima Generazione radicata in più paesi europei – hanno messo in scena negli ultimi mesi per richiamare a un’azione urgente verso un’emergenza, quella ambientale, contro cui denunciano non si stia facendo abbastanza. Proseguendo così una strada tracciata da Greta Thunberg e dal Fridays for Future, che, superata la pandemia, continua ancora a manifestare e, come oggi, a scendere di nuovo in piazza con il loro sciopero globale per il clima.

La protesta delle attiviste di Ultima Generazione incollate a La Tempesta di Giorgione, a Venezia
La protesta delle attiviste di Ultima Generazione incollate a La Tempesta di Giorgione, a Venezia 

Numerose sono state le azioni portate avanti in Italia da Ultima Generazione: il primo atto clamoroso scelse Venezia, quando, il 4 settembre dello scorso anno alle Gallerie dell’Accademia due giovani attiviste si incollarono alla Tempesta di Giorgione srotolando uno striscione per chiedere la fine dell’era fossile. Azione riuscita e a breve replicata ancora più in grande, il 4 novembre, con il lancio di una zuppa di verdura contro Il seminatore di Van Gogh, esposto a Roma e sempre protetto da un vetro.


E infine, il salto di qualità, con l’imbrattamento con litri di vernice lavabile della facciata della sede del Parlamento a Palazzo Madama il 2 gennaio scorso. Una modalità di azione, quella dell’imbrattamento con spruzzi di colore arancione che gli attivisti hanno preso in prestito da Just Stop Oil e che – a seguito l’azione eclatante di inizio anno al Parlamento italiano – si è già diffusa altrove, sbarcando anche Oltralpe con più di un’azione analoga in Francia, sempre ad opera di Dernière Rénovation.

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Beatrice Costantino e la Primavera del Botticelli


Beatrice Costantino ha poco più di vent’anni. Ha studiato per diventare veterinaria, si è laureata nel 2018. Nel 2021 ha contribuito ad avviare il movimento ambientalista Ultima Generazione. Lo scorso 22 luglio si è incollata, insieme a un paio di compagni, al dipinto La Primavera del Botticelli. Uno striscione estratto da uno zaino e deposto ai loro piedi recava la scritta “No gas no carbone”. E la mattina del 12 febbraio ha partecipato all’azione di fronte al palazzo del Consiglio regionale della Toscana, in cui la facciata principale è stata imbrattata di vernice gialla e rossa.

Firenze, gli attivisti di ‘Ultima Generazione’ si incollano alla Primavera di Botticelli

“La nostra richiesta al governo è che interrompa tutti i sussidi pubblici ai combustibili fossili”, spiega. Secondo l’ultimo report di Legambiente nel 2021 l’Italia ha speso 41,8 miliardi di euro in attività, opere e progetti connessi direttamente e indirettamente a questo tipo di fonti: 7,2 miliardi in più rispetto al 2020 e di cui 12 riservati specificatamente al settore energetico, somma destinata ad aumentare ancora. Quando perfino l’Agenzia internazionale dell’energia ha ammesso che questo tipo di investimenti andrebbe quantomeno ridotto, se non azzerato.

Le reazioni ai blitz ambientalisti

 

Dall’autunno, gli interventi di disobbedienza civile si susseguono tra musei, blocchi stradali e attacchi alle sedi nevralgiche del potere. La corrente promossa da Fridays for future nel 2019 con gli scioperi e i cortei sembra essersi esaurita. La resistenza è diventata attiva.

In Europa e in Italia, la reazione dell’opinione pubblica è stata piuttosto uniforme: diniego, scandalo, condanne più o meno energiche. Il ministro della Giustizia tedesco Marco Bushmann ha dichiarato che imporrà sanzioni più severe a chi viene coinvolto nei blitz all’interno dei musei. Alla testata nazionale Bild am Sonntag ha ammesso che una società diversificata prevede senz’altro la dimostrazione effettiva delle proprie esigenze, ma lanciare cibo contro le opere d’arte non ha nulla a che vedere con questo. E ha aggiunto che se rallentare il traffico dovesse ostacolare il percorso delle ambulanze verso gli ospedali prenderà in considerazione la responsabilità penale per lesioni colpose. Il senatore leghista Claudio Borghi li ha definiti a più riprese “criminali” e ha accennato alla proposta di legge per l’arresto immediato.

Verrebbe spontaneo domandarsi se agli occhi delle autorità esistono forme di attivismo più nobili di altre e quali dovrebbero essere le modalità appropriate per diffondere un messaggio efficace, secco, disperato. Come sottolinea Beatrice, infatti, hanno sempre utilizzato vernice lavabile, ben consapevoli di colpire il vetro posto a protezione del dipinto e di non recare alcun danno all’opera. Specifica anche che qualsiasi tentativo di rappresaglia da parte loro assumerà sempre matrici non violente.

 

La questione è controversa per due ragioni: innanzitutto, perché questa battaglia non contiene aspetti transitori o soggettivi. È democratica e universale. La partecipazione dovrebbe risultare unanime proprio perché, come ricorda Beatrice, nessuno di noi ha intenzione di vivere in povertà, né affrontare guerre, migrazioni e fame nei prossimi vent’anni. A rigor di logica, tutti dovremmo insistere affinché le logiche governative prendano decisioni al più presto. In secondo luogo, perché qualsiasi gruppo militante del passato si è inserito in seno al dibattito pubblico attraverso l’uso della forza.

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Quando a protestare erano le suffragette

 

Basti pensare alle suffragette. All’inizio del secolo scorso, nel Regno Unito, avevano impostato una vera e propria guerriglia urbana: coloro che orbitavano intorno a Emmeline Pankhurst, fondatrice dell’associazione Women’s Social and Political Union, spaccavano finestre, appiccavano incendi, aggredivano funzionari pubblici. Beatrice non sa che la celebre attivista Mary Richardson si introdusse alla National Gallery di Londra e squarciò con un pugnale la tela di Venere Rokeby di Diego Velázquez. Nel 1909 Marion Wallace Dunlop macchiò indelebilmente un estratto della Bill of rights affisso ai muri della Camera dei comuni inglese. Altro che zuppa di pomodoro.

Emmeline Pankhurst, fondatrice dell'associazione Women's Social and Political Union
Emmeline Pankhurst, fondatrice dell’associazione Women’s Social and Political Union 

Eppure, oggi vengono ricordate come eroine anche dalle frange più reazionarie della popolazione. Certo, hanno ottenuto ciò per cui lottavano. Ma non è forse vero che hanno vinto anche grazie all’esercizio di una pressione senza scrupoli? Rimproveriamo a questi ragazzi di compiere mero vandalismo o di puntare a un esibizionismo performativo, quando per ora sono ben lungi dal produrre crepe selvagge all’interno del tessuto sociale. Si limitano a sollevare attenzione mediatica rispetto alla grande catastrofe del nostro tempo.

“Il consenso va costruito. Ciò che una popolazione considera accettabile o inaccettabile, giustificabile oppure giusto, varia di mese in mese anche rispetto a ciò che accade in altre zone del mondo”, spiega Beatrice. “Nel Regno Unito, dove le campagne di Extinction Rebellion e Just Stop Oil sono state piuttosto incisive, la percentuale di britannici a sostegno della resistenza civile nei confronti del cambiamento climatico è salita enormemente. Un sondaggio del Guardian dello scorso ottobre attesta che il 66% dei cittadini risponde favorevolmente alla strategia della resistenza per costringere i governi ad agire”.

I testimoni e i passanti casuali hanno reagito al lancio della vernice sul Dito di Cattelan del 15 gennaio da parte di due esponenti di Ultima Generazione gridando “Siete una vergogna”. Il quotidiano Libero li ha definiti “eco-imbecilli coccolati dalla sinistra”.

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Le azioni radicali di Ultima Generazione e XR

 

“Con le nostre azioni chiediamo che non si riattivino le centrali a carbone, che in Mare Adriatico non inizino trivellazioni dannose tanto per il turismo quanto per il paesaggio, e che infine si realizzino 20 GW di fonti rinnovabili, tra eolico e solare, entro la fine di quest’anno”: a spiegare le ragioni delle proteste è Michele Giuli, che di Ultima Generazione è uno dei portavoce. E rilancia: “La campagna che ora abbiamo lanciato è Non paghiamo il fossile: vogliamo coalizzare movimenti e altre realtà che si oppongono alle decine di miliardi di finanziamento che l’Italia paga per estrarre e utilizzare i combustibili fossili”.

Ventisette anni, laureato in filosofia, e con un passato da ricercatore e insegnante di italiano per stranieri, oggi vive in montagna, mantenendosi grazie a una comunità agricola che ha realizzato con altre persone in Piemonte. “Ho iniziato la mia esperienza di attivista dentro Extinction Rebellion (XR), ma dopo un po’ non mi ha soddisfatto più”. Il motivo? “La mancanza di risultati e la delusione per uno spazio e un gruppo che da innovativo era diventato lineare e gradualista”.

 

Nello stesso periodo in cui il movimento ambientalista ragiona a livello globale di nuovo forme e metodi di lotta all’altezza della loro sfida – dalle occupazioni alla disobbedienza civile fino forme ancora più radical come i sabotaggi e danni alle infrastrutture, quelle sintetizzate dal libro Come far saltare un oleodotto dell’attivista svedese Andreas Malm (Ponte alla Grazie, 2022) – la sezione inglese Extinction Rebellion – movimento nato proprio nel Regno Unito nel 2019, quando riuscì quasi a paralizzare Londra durante la settimana Santa – ha scelto infine di cambiare rotta, con l’obiettivo di superare le forme di protesta che portino ai disagi delle persone: scelta che avviene anche in un contesto di rafforzamento delle misure repressive di cui vengono dotate le forze dell’ordine che operano Regno Unito.

E oggi, dopo l’allontanamento da Extinction Rebellion che cosa fate? “Abbiamo smesso di mentire a noi stessi, con le nostre azioni compiamo qualcosa di liberatorio e sorridiamo, come Greta Thunberg quando è stata arrestata in Germania: e se le persone possono essere contrarie ai nostri metodi, sta aumentando sensibilmente il favore in merito alle richieste che portiamo avanti”. E in futuro cosa volete fare? “Lavoriamo per un movimento di massa nonviolento che, grazie un patto inter-generazionale, possa allargare il fronte giovanile del Fridays for Future”.

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A far scoppiare la scintilla della mobilitazione è stato un libro, racconta in conclusione: il suo titolo è Qualcosa, là fuori (Guanda, 2016) fortunato caso di climate fiction italiana in cui l’autore Bruno Arpaia ha voluto raccontare gli effetti del riscaldamento globale sulla nostra penisola ed è stato premiato sfiorando le dieci ristampe dall’uscita. Una lettura che, mese dopo mese, ha seminato, fino a portare alla consapevolezza della crisi climatica, e all’angoscia per il caldo insolito di questo inverno che sta diventando una nuova normalità. Uno sguardo senza futuro? “Meglio farla finita con la speranza – ha spiegato in conclusione – è qualcosa che oggi non ci aiuta ad agire”.

Ma sono davvero scenari tali da angosciarsi fino a perdere la speranza, da farci venire quella che gli psicologi hanno definito eco-ansia? Ne è convinto il noto scienziato e divulgatore Telmo Pievani, professore ordinario di Biologia a Padova: “La situazione è piuttosto semplice e la comunità scientifica è molto irritata dalla sordità e miopia della politica al riguardo – è il quadro che tratteggia per Green&Blue – anche negli ultimi tre anni, nonostante la frenata indotta dalla pandemia, le emissioni globali di gas serra sono aumentate, anziché diminuire come previsto dagli Accordi di Parigi in poi”.

Come sarebbe il mondo con tre gradi in più

Quale futuro per il Pianeta?

 

Che futuro si profila dunque? “Che stiamo andando nella direzione esattamente opposta rispetto a quella auspicabile, passando velocemente dai 1,1 gradi di riscaldamento globale attuali fino almeno ai 1,5 gradi, momento in cui potrebbero scattare le accelerazioni del processo dovute agli effetti di retroazione positiva che alimenteranno ulteriormente l’aumento delle temperature”, la sua proiezione.

Che cosa è dunque necessario fare? “Dobbiamo smetterla di stupirci e di invocare l’emergenza: questa è la normalità dei prossimi anni, non una calamità improvvisa e imprevedibile e dobbiamo adattarci e presto, perché altrimenti pagheremo un prezzo molto alto in termini di instabilità globale e di effetti del cambiamento climatico, come fenomeni atmosferici estremi, innalzamento dei mari e desertificazione che colpiranno in particolare l’Italia, che è tra i Paesi più vulnerabili al riscaldamento climatico in tutta Europa”.

Ecoansia: i più colpiti sono giovani e donne

 

Scenari da ecoansia, dunque? “Quelli in preda alla maggiore eco-ansia, ancora prima dei giovani, sono gli scienziati, proprio perché conoscono i dati”, ci spiega lo scienziato padovano e conclude, richiamando all’ascolto delle proteste dei più giovani: “Se l’eco-ansia va senz’altro limitata perché non è costruttiva e tende a paralizzare, quando i giovani si lasciano andare a proteste eclatanti e non condivisibili, prima di metterci a strillare e di farne una questione solo di ordine pubblico, potremmo almeno provare a chiederci cosa stanno cercando di dirci: anche considerando che si tratta di un’evoluzione del movimento ambientalista dovuta alla crescente sensazione di non essere ascoltati e di non essere influenti”.

E se il termine è nuovo (e la Treccani l’ha inserito solo nel 2022), si tratta di un fenomeno pare destinato ad allargarsi per quanto riguarda “un’emozione pervasiva e persistente di preoccupazione che le basi ecologiche del nostro Pianeta stiano venendo meno a causa del cambiamento climatico”: è la definizione di eco-ansia, che dà lo psichiatra Matteo Innocenti: autore di varie pubblicazioni scientifiche e del libro Ecoansia. I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erikson editore, 2022), per l’Università di Firenze sia sta occupando di mappare la situazione in Italia. “È un fenomeno che è iniziato in parallelo alle prime mobilitazioni del Fridays for Future che hanno mostrato consapevolezza del problema e che è destinato ad aumentare in maniera esponenziale con il peggioramento degli effetti del cambiamento climatico”.

Possibile tracciare un quadro nel nostro Paese? “Non trattandosi di una malattia, è difficile quantificarne la presenza sul territorio: nella mia esperienza clinica colpisce i giovani, e in particolare le donne, e ha un decorso stagionale, acuendosi di fronte alle ondate di calore e alla siccità, contro cui consiglio riconnessione con la natura e grandi e piccole azioni a favore dell’ambiente“.

Stando alla ricerca globale pubblicata dello Stanford Medicine Centre for Innovation in Global Health sulla rivista Lancet Planetary Health, su un campione di 10mila giovani tra i 16 e i 25 anni originari di dieci Paesi, se circa la metà degli intervistati manifesta sintomi di eco-ansia, ben il 60% ritiene i propri governi responsabili della situazione oltre la metà ritiene che la specie sia destinata a soccombere.

Imbrattare le opere d’arte aiuta la causa degli ambientalisti?


ll dibattito sulle azioni di protesta

 

Scenari catastrofici per azioni radicali portate avanti dai gruppi che fanno parte della rete di resistenza civile A22, oggi diventate tema di dibattito e scontro anche all’interno dei gruppi ambientalisti storici o fra i giovani che hanno dato vita all’onda verde globale di Fridays For Future. Perplessità sull’efficacia di queste proteste – di cui viene valorizzata però la capacità di allargare la partecipazione – da parte di Greenpeace, uno dei movimenti verdi più votati all’azione e realtà che già dagli anni Novanta, iniziò con blitz e iniziative per fare pressione sulle autorità e ottenere risposte al problema del riscaldamento globale.

Greenpeace: “No alle azioni boomerang”

 

“A differenza delle nostre azioni, sempre rigorosamente non violente, ci sembra che le iniziative come lanci di vernice o blocchi del traffico non colpiscano l’obiettivo – spiega Ivan Novelli, presidente di Greenpeace Italia – perché spesso, alcuni gesti come quello sui quadri, alla fine si sono trasformati in boomerang, attirando attenzione ma con un ritorno di opinione negativo, forse perché non si concentravano sul messaggio: è per questo abbiamo invitato Ultima Generazione, pubblicamente e non, a ragionare sull’effetto delle loro azioni“.

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“Oggi infatti serve puntare, basandoci sulla scienza, a chi produce il danno, per esempio a livello di emissioni, ma senza coinvolgere soggetti terzi, come un cittadino in auto sul raccordo anulare – conclude Novelli – e dunque, se nessuna realtà politica oggi ha la chiave o il metodo universale per comprendere come poter far immediatamente cambiare rotta, resta fondamentale che tutti i movimenti individuino in maniera unitaria contro chi si sta combattendo in quella che è una battaglia difficile e lunga contro potenze economiche molto importanti”.

Sulla necessità di rendere più radicali le azioni per il clima – visto il costante aumento dei gas serra e la lentezza nelle politiche per ridurle – si interroga da tempo Fridays For Future, movimento lanciato a seguito dello sciopero per il clima portato avanti da Greta Thunberg dl 2018 e realtà che mantiene molti contatti con questi nuovi gruppi ambientalisti.

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Fridays for Future contro i big dell’Oil & Gas

 

Non mancano però dubbi: “Se la parola chiave dei movimenti per il clima è partecipazione, ovvero coinvolgere più persone possibili per arrivare a un reale cambiamento, non siamo sicuri che azioni come il lancio di vernice o dei blocchi stradali siano la strada giusta in questa direzione”, spiega il torinese Giorgio Brizio, uno degli attivisti più noti di Fridays for Future fra gli organizzatori del meeting europeo del gruppo ambientalista nella città piemontese, tenutosi la scorsa estate.


E pone ancora un problema di comunicazione e identificazione dell’obiettivo: “Chi sono coloro che finanziano il collasso climatico? Le industrie dei combustibili fossili, quelle del fast fashion, tutti i governi e le banche che elargiscono denaro per operazioni che non frenano il riscaldamento, ma lo aumentano: lanciare una zuppa o una vernice aiuta a ricordare chi sono gli avversari? Crediamo di no”. E dunque, in conclusione: “Se dobbiamo aumentare la radicalità allora quella che ci sembra la strada giusta da percorrere con azioni anche forti è quella contro i combustili fossili grazie a iniziative contro i big dell’Oil & Gas”.

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Legambiente: “Unire le forze per trovare soluzioni”

 

Anche per una associazione ambientalista fortemente radicata sul territorio e abituata a dialogare con le istituzioni, come Legambiente, nelle iniziative di Ultima Generazione si trova certamente un aspetto positivo, quello di sollevare il problema della crisi climatica: intento che però non sempre per via del metodo riesce ad essere compreso. “Crediamo sia più che condivisibile la volontà di questi ragazzi di mostrare la loro ecoansia, cioè l’ansia di non vedere mettere in campo azioni concrete e veloci per contrastare la crisi climatica”, spiega Stefano Ciafani, presidente della storica associazione ambientalista. “Riteniamo però – prosegue – che le azioni eclatanti, come quelle dei quadri imbrattati o dei blocchi stradali, abbiano avuto come risultato far parlare dell’azione stessa, più che parlare di crisi climatica, rischiando di allontanare i cittadini dal motivo che spinge a questi gesti estremi: motivo per cui noi non le abbiamo mai intraprese”.

Anziché azioni radicali, Legambiente preferirebbe unire le forze per centrare davvero la transizione energetica: “E se invece ci concentrassimo, tutti insieme, su manifestare positivamente a favore delle nuove opere rinnovabili che cambieranno l’Italia?”, si domanda il suo presidente, denunciando però al contempo come decisamente ingiustificabili le azioni di repressione e le misure interdittive contro gli attivisti italiani che sono stati oggetto di fermi e processi a seguito delle loro azioni.

Una realtà nuova, quella di Ultima Generazione, che, come si vede, è già al centro del dibattitto pubblico: è una radicalizzazione del movimento ambientalista nato dopo Greta? La pensa così Federico Tomasello, ricercatore all’Università del pensiero politico a Messina e curatore del libro collettaneo Violenza e politica. Dopo il Novecento pubblicato (il Mulino, 2020): “Tutto lo spettro sociale è stato caratterizzato negli ultimi anni da fenomeni di radicalizzazione politica, dal terrorismo islamico alla destra sovranista fino alle frange dei no-vax”, spiega il politologo.

“È in questo contesto e di fronte a una mancanza di dialettica politica – prosegue il ragionamento – che si inserisce anche quella degli ambientalisti, che passano dal corteo all’azione diretta per inseguire la trasformazione della comunicazione di massa”.

Ma c’è dunque un rischio di derive violente? “Impossibile fare previsioni: se la fantascienza ha da tempo immaginato un terrorismo di matrice animalista e ambientalista, da sempre sussiste la possibilità che alcune frange dei movimenti di massa scelgano di passare alla violenza”. Alla lunga però si tratterà di un fuoco fatuo, di una fiamma destinata a spegnersi velocemente? “Nient’affatto, perché di fronte agli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico, il movimento ambientalista non potrà che accrescersi – conclude il ricercatore – se volessimo tracciare una situazione analoga, è quella che caratterizzò le origini del movimento operaio, che iniziò a definirsi a partire dal 1830 per poi restare protagonista delle scena politico nei secoli a venire “.