È un prestare ed esigere denaro che non ha senso, un cortocircuito che ha un effetto devastante sui Paesi più pover,  alle prese anche con l’emergenza climatica. Secondo i dati della Jubilee Debt Campaign, un movimento inglese che raccoglie varie organizzazioni per chiedere l’annullamento del debito, i Paesi a basso reddito spendono cinque volte di più per restituire ai Paesi ricchi quanto è stato loro prestato da banche e istituzioni finanziarie di quanto investono per far fronte all’impatto del cambiamento climatico e per ridurre le emissioni di carbonio. Il resoconto del movimento, che sintetizza la sua azione nello slogan “Non c’è giustizia climatica se non c’è giustizia sul debito”, è stato pubblicato oggi dal quotidiano britannico Guardian.

I dati della Jubilee Debt Campaign mostrano che 34 dei paesi più poveri al mondo spendono 29,4 miliardi di dollari in pagamenti del debito all’anno rispetto ai 5,4 miliardi di dollari in misure per ridurre l’impatto dell’emergenza climatica.

Un esempio è lampante, peraltro su uno dei Paesi che negli ultimi anni hanno compiuto passi avanti in settori come istruzione e salute: l’Uganda ha dichiarato che ha speso 537 milioni di dollari tra il 2016 e il 2020, compresi fondi di agenzie internazionali e donatori, in progetti legati al clima per adattare le infrastrutture del Paese e affrontare le emergenze climatiche.

Tuttavia, il budget annuale dell’Uganda di 107,4 milioni di dollari viene eroso dai pagamenti del debito estero, che ammonteranno a 739 milioni di dollari nel 2021, salendo a 1,35 miliardi di dollari nel 2025.

E l’Uganda non è l’unico Paese a basso reddito che avrà bisogno di trovare denaro extra per pagare gli interessi sul debito nei prossimi quattro anni, osserva Jubilee Debt Campaign . Entro il 2025, l’organizzazione stima infatti che i 34 paesi interessati dalla ricerca spenderanno sette volte di più per il pagamento del debito rispetto a quanto investiranno per limitare gli impatti del cambiamento climatico.

Il tema del debito dei Paesi poveri, secondo Heidi Chow, direttrice esecutiva della Jubilee Debt Campaign, sarà fondamentale durante la Cop26. “A Glasgow, le nazioni ricche e inquinanti devono smettere di sottrarsi alle proprie responsabilità e fornire finanziamenti per il clima attraverso sovvenzioni, oltre a cancellare i debiti”, dice Chow al Guardian.

Negli ultimi 20 anni organismi internazionali, tra cui la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, hanno incoraggiato i Paesi in via di sviluppo a finanziare progetti utilizzando prestiti e obbligazioni bancarie. Chi ha acceso i mutui si aspettava che i tassi di interesse diminuissero nel tempo, man mano che si dimostravano affidabili nell’effettuare rimborsi regolari. Ma i Paesi a basso reddito continuano a pagare regolarmente più del 10% di interessi sui prestiti rispetto a una media dell’1,5-2,5% pagata dai Paesi ricchi.

È ancora l’Uganda a fornire un esempio pratico di quanto accade: Ausi Kibowa, del Southern and Eastern Africa Trade Information and Negotiations Institute (Seatini), con sede appunto nel Paese africano, spiega: “A causa dell’immensa pressione finanziaria esercitata sull’Uganda dalla crisi del debito, il governo ugandese non è in grado di spendere ciò che è necessario per proteggersi dai danni causati dai cambiamenti climatici. Inoltre, sta intensificando l’estrazione di combustibili fossili per pagare il debito. Per affrontare l’ingiustizia climatica, la cancellazione del debito deve far parte dei prossimi colloqui sul clima delle Nazioni Unite”.

I Paesi ricchi si sono impegnati a sostenere con 100 miliardi di dollari l’anno i Paesi in via di sviluppo per affrontare e limitare il cambiamento climatico. L’impegno è stato preso ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite a Copenaghen nel 2009, ma pochissimi hanno rispettato il loro impegno e spesso chi lo ha fatto ha usato altri prestiti, così, sempre secondo il Jubilee Debt Campaign “dei finanziamenti per il clima erogati finora, oltre i due terzi sono prestiti che aumentano ulteriormente la crisi del debito nei Paesi a basso reddito”.