In meno di due anni, a partire da una semplice coppia di insetti, la famiglia si può allargare fino a sette miliardi tra zii, cugini e nipoti. La cocciniglia tartaruga, originaria di una vasta area dal Canada al Messico, non ha problemi di denatalità. Ed è un problema perché sugli alberi di pino questo piccolo animale si comporta come un vampiro nutrendosi della linfa delle piante. La cocciniglia ha pochi antagonisti naturali e con temperature più miti può rivelare capacità riproduttive fuori dal comune. Nei Caraibi ha fatto quasi tabula rasa della specie indigena Pinus caribaea. In Italia è stata segnalata per la prima volta nel 2015 in Campania e da allora si è diffusa in modo inarrestabile nel Lazio e in altre regioni devastando anche la pineta della residenza presidenziale di Castelporziano.
Ma la cocciniglia tartaruga è solo uno tra i più pericolosi parassiti delle piante che in questi ultimi anni sono stati favoriti dal riscaldamento globale con tutto il corredo di siccità prolungate ed eventi climatici estremi. Queste invasioni seguono un copione che sembra ripetersi in declinazioni diverse.
“All’origine delle devastazioni ci sono spesso introduzioni involontarie di piante e frutti infetti ma l’ospite indesiderato può nascondersi anche in un container o in un imballaggio – spiega Pio Federico Roversi, direttore dell’Istituto Nazionale di Riferimento per la Protezione delle Piante (CREA Difesa e Certificazione) – l’aumento delle temperature e la siccità prolungata agiscono poi come acceleratori sia indebolendo le piante che riducendo i tempi di adattamento di questi parassiti esotici ai nostri ambienti”.
Secondo la comunità scientifica internazionale l’introduzione di specie aliene è una delle prime cause di perdite di biodiversità a livello mondiale anche a causa dei cambiamenti climatici. in Italia non ci sono piante immuni. Dalle cultivar agricole alle varietà ornamentali fino alle specie forestali tutte hanno un insetto, un batterio o un fungo che le molesta da quando il termometro ha perso la bussola. Molte di queste patologie sono da quarantena e prevedono l’eliminazione degli esemplari per non lasciar diffondere l’infezione. Ecco una rassegna dei nuovi e più pericolosi parassiti.
Il vampiro dei pini
I pini sono tra le specie più tartassate da questi nuovi insetti favoriti da temperature più miti. La cocciniglia tartaruga, nel suo ambiente di origine, non fa danni ma quando esce dai confini diventa una calamità naturale. In assenza di inverni rigidi, che praticano una sorta di selezione naturale su questi insetti, la cocciniglia può riprodursi con maggiore facilità. A ogni nidiata la femmina può deporre fino a 500 uova. In Italia è in una fase di diffusione piuttosto rapida e rischia di azzerare il pino domestico, ovvero l’albero da cui non solo si ricavano i pinoli ma che è parte del paesaggio naturale di molte città italiane come Roma.
Per il momento l’unica cura per fermare la cocciniglia tartaruga è l’iniezione nel tronco di una miscela insetticida derivata da un batterio che vive nel terreno. Ma si tratta di un tampone provvisorio, un genere di cura che non può protrarsi all’infinito. Tra poche settimane i ricercatori del CREA partiranno per una missione sulle isole caraibiche di Turks e Caicos dove pare che l’introduzione della cocciniglia abbia innescato una reazione dell’ambiente in grado di contenerne la diffusione. Un altro nemico di queste piante alle porte è il Bursaphelenchus xylophilus o nematode del legno di pino. Si tratta di un minuscolo verme che in Portogallo ha portato il pino marittimo sull’orlo della scomparsa. In Italia questo nematode finora è stato trovato solo in una partita di corteccia di pino proveniente dal Portogallo e destinata alle pacciamature per i giardini. Contro questo nematode non ci sono cure se non la distruzione degli alberi colpiti. Gli esperti stimano nel caso riesca a diffondersi in Europa si rischiano perdite nel settore del legname pari a oltre 20 miliardi di euro.
Bagno turco per la vite
In Italia la flavescenza dorata e il suo insetto vettore Scaphoides titanus sono una delle principali minacce alla viticoltura malgrado sia oggi ancora confinata nelle aree agricole delle regioni settentrionali fino alla latitudine della Toscana (ma è stata rintracciata anche a Ischia nel 2011).
La flavescenza è una malattia epidemica nella vite scoperta alla fine degli anni ’50 in Francia, ora presente in buona parte dell’Europa. La comunità scientifica ritiene che l’aggravarsi di questa malattia sia dovuto anche ai cambiamenti climatici in atto per l’influenza esercitata sul patogeno e per lo stress vegetativo causato alle piante. Per la flavescenza, non esiste cura ma si può prevenire sterilizzando il materiale vivaistico con un immersione in acqua a 55 gradi per 45 minuti. Per il controllo dell’insetto vettore, una cicalina, l’Università di Padova in collaborazione con il CREA ha avviato un programma di studio per verificare la fattibilità di interventi di lotta biologica con antagonisti naturali provenienti dall’areale di origine della cicalina.
Parassiti da eventi estremi
Il riscaldamento globale può avere anche effetti indiretti sulla salute delle piante. Come per il bostrico dell’abete rosso, un piccolo coleottero che di norma attacca le piante deboli o stroncate. Questo insetto, presente in Italia dalle Alpi fino all’Appennino, può colonizzare anche interi boschi a seguito di eventi estremi. La tempesta Vaia del 2018 ha aperto la strada a questo coleottero che, una volta sviluppata una popolazione sufficiente, è in grado di attaccare le piante sane. Anche perché molti degli abeti rossi delle nostre foreste sono dei disadattati, se così possiamo dire: nella maggior parte provengono da semi di origine centro-europea dove gli alberi hanno stress idrici inferiori a quelli che oggi si registrano alle nostre latitudini.
Il tarlo asiatico arrivato con i bonsai
La Lombardia ha speso più di dieci milioni di euro per contrastare l’invasione del tarlo asiatico, Anoplophora chinensis. La città di Roma, con il CREA, ne ha fermato la diffusione eliminando una a una le piante colpite a ridosso delle Mura Aureliane.
In Toscana è stato necessario radere al suolo ettari di vivai. Conosciuto anche come cerambicide degli agrumi dalle lunghe antenne, Anoplophora chinensis, di origine asiatica, attacca più di cento specie di alberi. Privilegia in particolare le latifoglie che costituiscono le principali alberature stradali di molte città come platani, faggi, aceri e ippocastani. Ma non disdegna piante da frutto come pero e melo così come alcune arbustive ornamentali dei giardini come le rose. Il tarlo asiatico è spesso stato individuato nel fusto di bonsai infetti. Con il cambiamento climatico la distribuzione di questo parassita si sta allargando a livello globale. A oggi anche per il tarlo asiatico in Italia è obbligatorio l’abbattimento delle piante colpite.
Basta una mosca
Come il tarlo asiatico anche la mosca orientale della frutta è di bocca buona. Questo insetto, anch’esso arrivato accidentalmente dall’Asia, può svilupparsi nei frutti di più di cinquecento cultivar agricole: dal melo alla pesca fino al cachi.
La specie è inclusa negli elenchi degli organismi da quarantena per l’Unione Europea per la sua pericolosità. Con i trend climatici in atto la mosca si sta allargando anche su altri territori. La presenza del parassita ha portato alla istituzione da parte della Regione Campania di una apposita unità di crisi per questa emergenza che rappresenta una minaccia grave per le esportazioni di frutta tanto che a livello italiano è stato avviato un apposito programma di monitoraggio che interessa l’intero territorio nazionale.