TORINO – Nell’afa pressante di fine luglio, gli ultimi arrivati riempiono di fretta la borraccia alla fontanella e poi raggiungono di corsa l’Aula magna del Campus Einaudi di Torino, ormai completamente piena. Al collo hanno pass verdi, vengono dall’Uganda, dall’Ucraina, dalla Spagna o dal Brasile, circondati dai loro colleghi italiani: 450 i giovani accorsi nel capoluogo piemontese d 45 paesi per il secondo Meeting Europeo dei Fridays For Future, più altri cinquecento – per un totale di quasi mille persone – accampati al Climate Social Camp, il campeggio con workshop e incontri che si tiene parallelamente al Parco della Colletta.
In una Torino trasformata per cinque giorni nella capitale di coloro che non vogliono vedersi rubare il futuro, dopo una giornata in cui i giovani di tutta Europa si sono chiusi nelle stanze del Campus o sotto i tendoni allestiti al Parco uniti per ragionare su come sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza climatica, su come affrontare l’eco-ansia, la resilienza delle foreste, oppure sull’importanza dell’educazione climatica delle scuole o sulle disuguaglianze sociali, alla sera vanno a scuola.
La “lezione” si chiama “Otto anni per fermare la crisi climatica” ma non si parla nello specifico di tecnologie o i target dei vari Paesi, ma piuttosto della necessità che movimenti come Fridays For Future si trasformino “in politica”, è forse il messaggio più forte che lancia ai ragazzi Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food. A lui i giovani dell’onda verde chiedono: “Come possiamo vincere le nostre battaglie per aiutare il Pianeta?”. La risposta di Petrini è netta: “Oggi il silenzio della politica planetaria rispetto a queste tematiche è assordante. Io sono convinto che siamo entrati nell’anticamera dell’irreversibilità: siamo a un punto di non ritorno. Ciò dovrebbe far scattare moti e invece niente. E siccome la situazione è drammatica il compito dell’associazionismo e dei movimenti, magari collegato all’imprenditoria, è quello di avere il dovere morale di mettere in essere azioni per comportamenti individuali e collettivi che guardino all’emergenza climatica”.
Quali azioni? “Il principale responsabile di questo disastro ambientale – spiega Petrini – è l’attuale sistema alimentare. Per la produzione di CO2 è responsabile del 34%. Ma è responsabile anche nella produzione intensiva di plastica monouso e soprattutto nello spreco alimentare quotidiano, dato che il 33% di cibo prodotto viene buttato via. Questo va cambiato e c’è bisogno di una ulteriore mobilitazione, soprattutto sul consumo di carne, dei comportamenti individuali. Quello che intendo è che c’è bisogno di politica, anche per liberarci dal consumo compulsivo o dalle differenze sociali fra i Paesi. Serve un cambio di comportamento alimentare: questa è la politica che dobbiamo e dovete portare avanti” tuona Petrini fra gli applausi dei giovani.
Come Petrini, anche Luciana Castellina, storica fondatrice de Il Manifesto e presidente onoraria ARCI, invoca l’idea che i movimenti verdi si facciano grandi. “Il movimento di lotta e denuncia deve consolidarsi in organismi collettivi per gestire pezzi della società. Bisogna che diamo prova di essere capaci di cambiare le cose” spiega. Finora media e giornalisti secondo Castellina sono stati “colpevoli della totale sottovalutazione del passaggio di epoche che stiamo attraversando per cui io sono grata a Fridays For Future perché scuote la società sulla crisi climatica”.
Questo scuotere deve “continuare, perché se al contrario insisteremo solo con il consumismo allora sarà un disastro. A partire dai giovani deve cambiare il modello di sviluppo. Oggi abbiamo bisogno – conclude – di un grande movimento ecologista per trasformare la denuncia in vertenza: se non si vince mai poi passa la voglia di lottare, per cui dobbiamo insistere e stare con le orecchie aperte”.
Il punto, sostengono gli attivisti arrivati da tutta Europa, come dice Laura Vallaro di Fridays For Future Torino, è che mentre fuori le temperature sono bollenti e le persone si preoccupano solo di questo aspetto, “la crisi climatica sta colpendo in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi del sud. Serve più consapevolezza, dobbiamo parlarne di più e serve anche il vostro aiuto” dice a una platea di docenti, ricercatori e rettori.
Se ci sono solo otto anni per intervenire, concorda Stefano Geuna, rettore dell’Università di Torino, “allora siamo qui per trovare una strada tutti insieme. Come ateneo noi lavoreremo all’implementazione del piano strategico per migliorare il nostro impatto ambientale, ma vogliamo soprattutto creare un effetto a casacata educativo, sulla questione climatica, nella società”. Unire diversi attori della società, dai giovani agli scienziati, è l’impulso necessario per cambiare concordano tutti in Aula Magna.
Così accade che, come il rettore, anche la ricercatrice dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR Elisa Palazzi si metta a disposizione di Fridays For Future, per aiutare a diffondere sempre di più la tematica e creare consapevolezza oppure che, come propone Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, anche i grandi centri di ricerca mettano a disposizione auditorium e spazi per incrementare il confronto fra scienza e giovani.
Dalla sua invece il rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco, spera che unendo il mondo del “tecnologo e dell’umanista, che hanno diversi punti di vista, si possano trovare delle soluzioni per affrontare la crisi. Il mio sogno è fare una challenge per vedere realizzate queste soluzioni” dice.
Alla fine della lezione, con l’invito a fare politica e a unire più mondi nella battaglia alla crisi climatica, con coraggio – dopo averlo applaudito – i ragazzi di Fridays For Future preoccupati per la decarbonizzazione che non avanza chiedono al rettore del Politecnico sia di unirsi a loro nel corteo di venerdì (sciopero per il clima), sia di cancellare le collaborazioni dell’Università con Eni.
Saracco risponde che i lavori in corso con la multinazionale sono in direzione delle energie rinnovabili, dell’energia delle onde, della conversione di CO2 attraverso i bioreattori algali. “Non abbiamo a che fare con l’estrazione. Quello che posso dire è che nella transizione ecologica necessaria, io garantisco che non faremo nulla nella direzione sbagliata, ma lavoreremo con tutti i partner che vogliono andare nella direzione giusta. Anche per noi accademici o scienziati è venuto il momento di mettersi in gioco davanti all’emergenza climatica: c’è poco tempo ma contate su di me, ragazzi”.