Lo sapevamo già, lo sentiamo continuamente ripetere dagli esperti, e adesso abbiamo a disposizione l’ennesimo studio che lo dimostra attraverso numeri molto chiari, con cui non ci resta che fare i conti. Parliamo dell’iniquo utilizzo delle risorse idriche, soprattutto quando queste minacciano di scarseggiare, come temiamo possa accadere nel nostro Paese nei prossimi mesi e come è accaduto in passato in almeno 80 grandi città fra cui Londra, Miami, Mosca, Istanbul, Pechino, Roma, che negli ultimi vent’anni hanno dovuto fronteggiare momenti di grave carenza idrica. Ad esplorare questo tema quanto mai attuale è uno studio pubblicato su Nature Sustainability, condotto da un gruppo di ricercatori delluniversità di Uppsala (Svezia), delluniversità di Amsterdam (Paesi Bassi) e delluniversità di Manchester (Regno Unito).

Il gruppo di ricerca si è focalizzato soprattutto su Città del Capo, in Sudafrica, dove una crisi idrica urbana può significare rimanere letteralmente senza acqua nei rubinetti, specialmente per chi già vive in condizioni difficili. E la soluzione, secondo i ricercatori, non è tanto da cercare nell’ottimizzazione delle infrastrutture di approvvigionamento idrico, quanto nella riduzione degli sprechi e in una ripartizione più equa di questa preziosa risorsa, il cui utilizzo è in costante aumento. Secondo il report 2023 delle Nazioni Unite, a livello globale negli ultimi 40 anni si è osservato un aumento dell’1% all’anno nell’utilizzo di acqua, e, se continuiamo di questo passo, nel 2050 potremmo trovarci ad aver raggiunto un aumento complessivo del 20-30%: una tendenza dovuta a una combinazione di vari fattori, fra cui l’aumento della popolazione mondiale e un profondo cambiamento nel modo con cui consumiamo questa risorsa, anche come conseguenza dello sviluppo socio-economico globale.

“Il cambiamento climatico e l’aumento demograficospiega Hannah Cloke, co-autrice dello studio – implicano che l’acqua stia diventando una risorsa sempre più preziosa nelle grandi città, ma abbiamo mostrato che è l’ineguaglianza sociale a costituire il problema principale per le persone più povere e per il loro accesso all’acqua per soddisfare le esigenze quotidiane”. Il gruppo di ricerca, dicevamo, ha sviluppato un modello per studiare in particolare l’uso domestico di acqua da parte dei residenti di Città del Capo. Ne è emerso che le famiglie a basso reddito, che costituiscono il 62% della popolazione, consumano solo il 27% dell’acqua utilizzata globalmente in città, mentre quelle a reddito medio-alto ne utilizzano il 51%, pur rappresentando meno del 14% del totale degli abitanti. Quello di Città del Capo, scrivono gli autori, è solo un esempio di come l’iniquo utilizzo dell’acqua possa impattare sulle crisi di approvvigionamento idrico nelle aree urbane.

“I nostri risultati – si legge nelle conclusioni dell’articolo – mostrano che le crisi idriche urbane possono essere innescate da pattern di consumo insostenibile da parte dei gruppi sociali privilegiati”. Lo sviluppo tecnologico e l’ottenimento di infrastrutture sempre più efficienti, insieme al progressivo aumento del costo dell’acqua per scoraggiarne lo spreco, concludono, non sono misure sufficienti per gestire le crisi attese in futuro, “in quanto espandono l’impronta idrica delle città e allo stesso tempo perpetuano livelli di consumo diseguali”.