Quando si parla del rapporto tra informatica e cambiamenti climatici il pensiero corre ai data center, ad Alphabet, a Meta e a tutte le altre Big Tech, molte delle quali si stanno impegnando a contenere le emissioni anche nella produzione di hardware. I giganti della tecnologia esistono perché nel mondo ci sono miliardi di dispositivi, sia aziendali sia privati, e a farne uso siamo tutti noi. Ma possiamo utilizzarli in modo più accorto per impattare meno sull’ambiente.
Preferiti, modalità scura e schermi piccoli
A casa possiamo usare alcuni accorgimenti che ci aiutano ad alleggerire anche il peso delle bollette dell’energia elettrica e a tutelare la nostra salute.
Il primo è anche il più ovvio: se in casa abbiamo più pc o dispositivi mobili, è consigliabile usare soprattutto quelli più rapidi. Una semplice ricerca sul web, così come l’invio di un’email, hanno un costo in emissioni dannose per l’ambiente. L’Agenzia francese per l’ambiente e la gestione dell’energia (Ademe) ha calcolato che l’invio di un’email con un allegato di 1Mb corrisponde a un’emissione di 19 grammi di CO2 e il costo ambientale di una semplice ricerca sul web varia da 1 a 10 grammi di CO2. Salvare tra i preferiti del browser i siti che ci interessano evita ricerche inutili e, per quanto riguarda le email, dovrebbe valere un nuovo galateo: “rispondere è cortesia, farlo soltanto se necessario è eco-sostenibile”.
I sistemi operativi, i software e le applicazioni che usiamo prevedono la cosiddetta “modalità scura”, ossia sfondi tendenti al grigio-nero al posto del bianco classico i quali, se da una parte sono meno stressanti per gli occhi, dall’altra consentono un risparmio energetico che varia dal 15 al 60%.
Il peso della stampa
Il terzo accorgimento riguarda le stampanti che sono comode ma potrebbero invogliarci a stampare più del necessario. Una stampante casalinga in funzione consuma circa 30 watt di corrente e, in media, può produrre 20 pagine al minuto. Supponendo che una sola pagina venga stampata in un ventesimo di minuto – c’è il tempo di spooling che può variare e del quale non teniamo conto in questo calcolo sommario – si ottiene un consumo di 0,00016 kWh (ottenuto il tempo di stampa pari 0,0055 ore moltiplicato per i 30 watt minimi necessari alla stampa).
Nel 2020, secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), la produzione di un kWh di corrente elettrica aveva un costo in termini ambientali pari a 444 grammi di CO2. A questi si aggiunge l‘inquinamento legato alla produzione di carta e di inchiostri e toner, impossibile da stabilire perché estremamente variabile a seconda dei componenti chimici impiegati. Inoltre, una stampante in modalità standby consuma 1,89 watt all’ora e non va neppure dimenticato che anche lo smaltimento di inchiostro e toner hanno un impatto sull’ambiente.
Streaming: questione (anche) di display
C’è poi la questione dello streaming. Secondo il World Economic Forum un’ora di streaming emette tanta CO2 quanto un viaggio in macchina di 250 metri, ossia circa 55 grammi. Per ridurre questo impatto ambientale, più che scegliere una minore qualità video, è opportuno utilizzare un display di minori dimensioni: il consumo energetico di un tv da 50 pollici supera di 90 volte quello del display di uno smartphone e di 4,5 volte quello del monitor di un computer. Infine, chi deve apprestarsi a cambiare computer prediliga i pc portatili, meno energivori e quindi meno pesanti sulle bollette. Inoltre, quando la batteria del laptop è carica e non lo si usa, si può scollegare dalla presa di corrente.
Lavorare al pc: quale risparmio?
Secondo il report Quantifying e-Waste in Corporate IT (Quantificazione dei rifiuti elettronici nell’informatica aziendale), curato dalla software house svizzera Nexthink che ha esaminato 3,5 milioni di pc, il 34% di questi (1,19 milioni) impiega più di 5 minuti ad avviarsi. Il prezzo ambientale è di almeno 450 tonnellate di CO2 all’anno, tanta quanta ne producono 191 mila litri di benzina.
Con il 27,6% di computer il cui tempo di operatività richiede più di 5 minuti, è l’industria della salute e farmaceutica a vantare il record negativo. Il comparto dei servizi sembra essere il più ricettivo alle necessità operative, come dimostra il 3,48% di computer eccessivamente lenti. Una situazione a cui si può ovviare con una spesa minima, come sottolinea l’azienda losannese, perché soltanto il 2% dei pc definiti “vetusti” (termine che nel report coincide con un’anzianità superiore ai tre anni) andrebbe cambiato.
La maggior parte di questi può essere velocizzata con l’aggiunta di ram. Partendo dal presupposto che 4Gb di ram in più sono sufficienti a dare maggiore velocità a qualsiasi computer, si può determinare che questo upgrade abbia un costo inferiore ai 40 euro. Una spesa sostenibile sia per le tasche sia per l’ambiente.
Nexthink consiglia alle aziende di suddividere in tre categorie il proprio parco pc: pronti all’uso, recuperabili e, in ultimo quelli sacrificabili, ossia da dismettere. Nella categoria “recuperabili” rientrano quei computer i quali, con l’aggiunta di ram, con l’aggiornamento del sistema operativo e con la rimozione dei software non utilizzati, possono guadagnare in efficienza d’uso.
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Solo software utile
Su ogni pc aziendale dovrebbero esserci soltanto software utili allo svolgimento del lavoro: ogni programma e ogni plug-in, a maggior ragione se si appoggia a Internet per funzionare, ha un prezzo in termini di CO2. Non da ultimo le aziende dovrebbero creare delle procedure d’uso dei pc aziendali, permettendo o meno ai dipendenti di farne un uso privato. Sempre relativamente al campione di 3,5 milioni di pc esaminati, Nexthink sostiene di avere individuato software personali tra comunicazione, gaming e streaming in grado di generare circa 33 tonnellate di anidride carbonica ogni anno.