A Utrecht, in Olanda, le pensiline alla fermata dei mezzi pubblici potrebbero a breve trasformarsi in un corridoio ecologico per i funghi sotterranei. Oltre trecento banchine sono state coperte con un tetto verde che potrebbe diventare un’oasi per le spore rilasciate da questi funghi per riprodursi. Detta così, sembra l’incipit di una storia di fantascienza ma non lo è.

 

La biodiversità urbana, come quella in natura, dipende proprio dai questi microrganismi invisibili ai quali si associa il 70 per cento dei vegetali. Le piante e i funghi vivono in simbiosi da circa 400 milioni di anni scambiandosi nutrienti e creando enigmatici reticolati sotterranei che possono replicarsi anche nei tetti verdi così come nelle aiuole spartitraffico o nei parchi pubblici. Oggi alcuni campioni dei suoli delle coperture verdi di Utrecht sono sotto esame nei laboratori della Vrije Universiteit di Amsterdam dove ne stanno sequenziando il DNA per identificare quali specie di funghi possano sopravvivere in questi substrati così sottili. La campagna è stata promossa da SPUN (Society for the Protection of Underground Networks), un’organizzazione di ricerca scientifica fondata dalla biologa di origine americana Toby Kiers, e docente nella capitale olandese, per proteggere queste reti sotterranee.

Le simbiosi tra piante e funghi sotterranei si chiamano micorrize e sono lo specchio della biodiversità visibile. Le specie vegetali che possiamo osservare in superficie corrispondono a comunità di funghi ben specifiche. Ogni ambiente, dalle foreste alla giungla, ha la sua impronta biologica sotterranea.

“Un suolo ricco di questi funghi sarebbe non solo in grado di incrementare la biodiversità dei tetti o delle pareti verdi ma di migliorare i servizi ecologici offerti in termini di assorbimento degli inquinanti e di capacità di isolamento dal calore – spiega Paola Bonfante, professoressa emerita di biologia all’Università di Torino e pioniera nelle studio di queste simbiosi invisibili – ogni singola pianta è colonizzata da più funghi e altri microrganismi che costituiscono quello che chiamiamo il microbiota, e ognuno di essi è legato a una funzionalità ecologica specifica della pianta come la tolleranza dello smog o della siccità“.

Uno studio effettuato in Canada ha dimostrato che alcune piante che in natura si associano ai funghi, come Solidago bicolor e le erbacee Poa compressa e Danthona spicata, conservano il loro microbiota di funghi anche nei substrati sottili dei tetti verdi. Queste opere, di norma sono costituite da substrati di terra di qualche centimetro in cui, per esigenze di manutenzione, vengono piantate succulente frugali come le crassule che non si associano ai funghi.

“Per aumentare la biodiversità dei tetti verdi e replicare nelle aree urbane quello che avviene in natura bisognerebbe inoculare questi funghi direttamente nel terreno – prosegue Bonfante, autrice sul tema del libro “Una pianta non è un’isola” (Il Mulino) – la scorsa estate, in collaborazione con SPUN, abbiamo campionato i suoli di alcune zone poco antropizzate sulle Alpi e sugli Appennini per la valutarne la biodiversità fungina”. A breve, con i fondi del PNRR, si studieranno anche i suoli urbani dei parchi e delle aiuole per valutarne la ricchezza fungina.

La simbiosi con i funghi migliora la crescita delle pianta perché le micorrize si comportano come un biofertilizzante che garantisce al suo ospite i nutrienti necessari per lo sviluppo come fosforo, potassio e azoto. Tutte sostanze che recupera nel sottosuolo circostante dove le radici non possono arrivare. In cambio la pianta assicura la sopravvivenza del fungo riservando una parte degli zuccheri prodotti con la fotosintesi clorofilliana al suo aiutante ipogeo. La biologa Toby Kiers, fondatrice di SPUN, ha dimostrato come la natura di questi scambi sia simile alle dinamica tra domanda e offerta che avviene nel libero mercato: quando i minerali scarseggiano i funghi, come scaltri commercianti, richiedono più zuccheri alla pianta aumentando il prezzo dei nutrienti.