“Io lo chiamo Hydrogen Day, l’8 luglio 2020, quando il vice-presidente della Commissione Europea Frans Timmermans, coordinatore del Green Deal europeo, ha acceso i riflettori sull’idrogeno come soluzione chiave per la decarbonizzazione”, riconosce con ironia il professor Marcello Baricco, ordinario di Scienza e Tecnologia dei Materiali presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino. “Ma in realtà di questo gas sappiamo molto già da tempo e sebbene negli ultimi anni ci siano state forti evoluzioni tecnologiche non si può parlare di rivoluzioni: è solo giunto il momento di sfruttare l’occasione, ora o mai più”.

La sfida dell’idrogeno

E una delle occasioni si chiama HyCARE, ovvero Hydrogen CArrier for Renewable Energy Storage, un progetto che punta alla realizzazione di un sistema capace di immagazzinare l’energia prodotta da rinnovabili attraverso l’idrogeno, con un livello di efficienza superiore rispetto agli attuali standard. Dopodiché è risaputo che l’idrogeno può essere impiegato come vettore energetico per alimentare veicoli su gomma, treni, navi e in prospettiva futura anche per la decarbonizzazione di processi industriali in fabbriche di grandi dimensioni.

HyCARE, un grande progetto europeo

HyCARE nasce come un progetto comunitario e il suo consorzio vede la partecipazione dei centri di ricerca dell’Università di Torino con Environment Park di Torino, del Center for Sustainable Energy di Fondazione Bruno Kessler, dell’Helmholtz-Zentrum Hereon (Germania), dell’Institute for Energy Technology (Norvegia) e del CNRS – Centre national de la recherche scientifique (Francia). A questi si aggiunge l’apporto fondamentale delle aziende Tecnodelta Impianti di Chivasso (To), GKN Sinter Metals Engineering (Germania) e Stühff Maschinen- und Anlagenbau (Germania). Dopo quasi quattro anni di lavoro, proprio lo scorso 21 aprile, si è giunti al capitolo finale di questa avventura. “Abbiamo presentato il primo dimostratore funzionante presso l’Engie Lab Crigen, nei pressi di Parigi, perché i nostri partner francesi hanno un elettrolizzatore a membrana a scambio protonico (PEM) da 55 kW come produttore di idrogeno e ad una cella a combustibile PEM da 20 kW come utilizzatore”, spiega Baricco, il coordinatore dell’intero progetto.

Il sistema HyCARE di fatto agisce come uno stadio intermedio tra l’impianto che produce idrogeno e la batteria che ne consente l’uso. Il progetto si concentra sulla gestione dell’idrogeno mediante un carrier, un corriere insomma. L’idea di fondo è di ottimizzare il processo che si nasconde dietro la gestione dell’idrogeno, ovviamente in sicurezza, riducendo gli impatti ambientali e migliorando l’efficienza complessiva.

 

L’immagazzinamento dell’energia tramite l’idrogeno

“Al netto dell’impiego come carburante – in Giappone le auto a idrogeno viaggiano dal 2010, mentre in Germania già da qualche anno c’è un treno in funzione – è proprio lo stoccaggio energetico uno dei fronti di sviluppo più interessanti del momento per l’idrogeno. Infatti, una volta usata l’energia rinnovabile per produrlo, questo gas può essere messo da parte e, quando lo si desidera, riutilizzato per generare nuovamente energia. Anche a distanza di lungo tempo, se necessario anche un anno o più”, sottolinea Baricco.

L’idrogeno storicamente è sempre stato considerato un oggetto bizzarro, ammantato da presunta pericolosità. Quasi un fantasma di memoria collettiva che in alcuni richiama la tragedia del dirigibile Hindenburg (1937) e in altri le sperimentazioni della bomba H nel primo dopoguerra (1952). “In realtà l’industria lo gestisce da sempre: si pensi al suo uso per produrre l’ammoniaca con cui si fanno i fertilizzanti. È un’offesa al buon senso e alla realtà considerarlo genericamente pericoloso. Certo va trattato come si deve, ma lo stesso vale anche per il metano“, puntualizza l’ordinario di chimica.

Verrebbe da chiedersi perché non si sia già pensato a questa soluzione in ogni area dove si manifesti il bisogno di accumulo energetico. “La risposta è che occorre scegliere la tecnologia più adatta, in base alle esigenze, considerando come parametri la quantità di energia da stoccare per metro cubo o per chilo, la potenza necessaria e il tempo di stoccaggio. Senza contare ovviamente gli investimenti e i costi operativi”, ricorda Baricco. “Ad esempio, un pacco batterie agli ioni di litio è certamente economico, può andare bene per gestire le fluttuazioni orarie di un’utenza domestica, ma se la potenza in gioco sale molto o si ha bisogno di un immagazzinamento a lungo termine bisogna pensare ad altro”.

Un impianto eolico oppure un parco fotovoltaico sono capaci di generare grandi quantità di energia rinnovabile, ma ci sono momenti della giornata in cui la domanda è ampiamente soddisfatta ed occorre non sprecare quanto è stato prodotto. Quindi perché non valorizzare al meglio questa risorsa? L’idea è che, a prescindere dalla componente temporale di produzione, si possa allocare l’energia in un luogo fino a quando non se ne ha nuovamente bisogno. È bene però avere ben chiaro che lo stoccaggio dell’energia con l’idrogeno è una strategia per evitare gli sprechi, perché il tasso di efficienza del processo è comunque pari a circa il 50%. “Fatta 100 la quantità di energia prodotta da fonte rinnovabile, se questa si usa per produrre idrogeno da accantonare e poi da riconvertire successivamente in elettricità, se ne ottiene 50. Un gran risultato, se confrontato con lo zero generato dallo spreco totale”, assicura Baricco.

Come funziona HyCARE

Il progetto HyCARE prevede l’uso dell’idrogeno come energy carrier, ovvero trasportatore di energia. Si tratta di un modo di trasformare l’energia prodotta da un impianto rinnovabile in un gas da stipare in una sorta di contenitore. Dopodiché, a distanza di tempo, si preleva il gas e si trasforma nuovamente in energia. Fin qui si tratta di un’operazione già teorizzata e praticata, sebbene non ancora così diffusa, mentre il valore aggiunto del progetto europeo è di aggiungere un ulteriore elemento di efficienza.

Normalmente, come anche in questo caso, si parte con l’impiego dell’energia (da rinnovabile) per stimolare una reazione chimica che scinde l’acqua. La cosiddetta elettrolisi libera ossigeno e idrogeno; quest’ultimo può essere immagazzinato in modalità diverse oppure impiegato direttamente. Ad esempio, nelle auto l’idrogeno viene compresso a 700 bar nei serbatoi e con un pieno di circa 3 kg si fanno oltre 600 km, mentre nei treni la pressione scende a 350 bar, ma i serbatoi sono di dimensioni più grandi. Nel caso di HyCARE – e quindi parlando di stoccaggio di energia rinnovabile – vi sarebbe bisogno di grandi volumi e di un forte consumo di energia per la compressione. In questo modo l’obiettivo di efficienza, per altro richiesto dalla stessa Commissione Ue, andrebbe riducendosi. Scartata l’ipotesi della trasformazione in idrogeno liquido – bisognerebbe ridurre la temperatura a -253° C – non resta che puntare sull’uso degli idruri.

 

In pratica occorre fare in modo che le molecole di gas interagiscano con una polvere metallica, così da ottenere un idruro, una sorta di trasportatore di idrogeno. Fin qui esiste già qualcosa di simile sul mercato, ma nessuno aveva pensato di raccogliere il calore che si sviluppa in questo processo di assorbimento, convogliarlo in un materiale a cambiamento di fase, che da solido diventa liquido e lo immagazzina. Poi, al contrario, il calore viene trasmesso all’idruro, che rilascia nuovamente l’idrogeno come gas. Il tutto senza l’uso di (altro) calore o di elettricità dall’esterno. Sintetizzando: per fornire energia dall’idruro si usa lo stesso calore che è stato raccolto nella prima fase per ottenerlo. Ecco quindi un ciclo completo, realizzato con efficienza, minimizzando ogni dispersione di energia.


“Il nostro dimostratore con circa 45 kg di idrogeno immagazzinato in idruro, consentirebbe di alimentare, ad esempio, un appartamento per diverse settimane. Con questo progetto volevamo dimostrare che quanto previsto dalla teoria può essere realizzato nella pratica. Adesso non resta che capire se la Commissione Ue è disposta ancora a investire su questo progetto per ottimizzare il disegno dell’impianto e per ridurne le dimensioni, o sia giunto il momento di fare affidamento nelle aziende coinvolte per una applicazione da proporre al mercato”, conclude Baricco. “Comunque c’è ancora un tema di filiera dell’idrogeno da affrontare: centralizzare la produzione dello stoccaggio o decentralizzarla, considerando hydrogen valleys di piccole e grandi dimensioni? Difficile rispondere, ma questo è il momento giusto per farlo”.