Il 2022 è stato l’annus horribilis per i ghiacciai alpini, sempre più fragili, vulnerabili e instabili per effetto del riscaldamento climatico. Questa è la pesante sintesi che si può trarre dal terzo report di Carovana dei Ghiacciai, la campagna di Legambiente in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano che da tre anni monitora lo stato di salute dei ghiacciai italiani.
Perdite di superficie e spessore, che li portano alla disgregazione in corpi glaciali più piccoli e a trovare rifugio in alta quota, ingrigimento e aumento di fenomeni quali frane, valanghe e colate detritiche: è la fotografia dell’emorragia vissuta dall’intero arco alpino e di una crisi climatica che prosegue a ritmo irrefrenabile.
Il Ghiacciaio dei Forni sta scomparendo, tra crolli e black carbon
Nell’ultimo anno i giganti bianchi hanno dovuto fare i conti con un’estate caldissima, caratterizzata da intense ondate di calore, record di temperature e siccità estrema. Si pensi che, a fine luglio, MeteoSuisse ha registrato lo zero termico sulle Alpi svizzere a 5184 metri, a ottobre ancora lo zero temico era sopra i 4000 metri di quota. Numeri del tutto insoliti considerato che normalmente, nel mese di agosto, la quota dello zero termico si dovrebbe aggirare sui 3500 metri.
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In ciascuno dei tre settori alpini (occidentale, centrale e orientale) i ghiacciai registrano arretramenti mai ossservati prima d’ora e i più piccoli e alle quote meno elevate stanno perdendo il loro “status” di ghiacciaio, riducendosi ad accumuli di neve e ghiaccio o poco più. Nelle Alpi Occidentali si registra in media un arretramento frontale annuale di circa 40 metri. Importante è la retrocessione di ben 200 metri della fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso. E ancora i ghiacciai del Timorion (in Valsavaranche) e del Ruitor (La Thuile) con una perdita di spessore pari a 4,6 metri di acqua equivalente, la peggiore perdita degli ultimi ventidue anni.
Accentuati i ritiri di ghiacciai come Ghiacciaio di Verra (Val d’Ayas), il Ghiacciaio del Lys e degli altri corpi glaciali del Monte Rosa, come il Ghiacciaio di Indren, che in due anni, ha registrato un arretramento frontale di 64 metri, 40 solo nell’ultimo anno. Il Miage che in 14 anni ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua.
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“Sorvegliati speciali” i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret (AO) per il rischio di crolli di ghiaccio che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle. Nel settore centrale emblematico il Ghiacciaio del Lupo che, solo nel 2022, registra una perdita del 60% della massa glaciale rispetto a quanto perso nell’arco di 12 anni. Il Ghiacciaio di Fellaria (Gruppo del Bernina, Val Malenco) perde in 4 anni quasi 26 metri di spessore di ghiaccio. Tra i fenomeni di collasso delle fronti spicca quello del Ghiacciaio del Ventina (Gruppo del Monte Disgrazia), che in un anno ha perso 200 metri della sua lingua.
Il Ghiacciaio dei Forni sta scomparendo, tra crolli e black carbon
Per quanto concerne le Alpi Orientali, del grande Ghiacciaio del Careser (Val di Pejo), rimangono placche di pochissimi ettari, la sua superficie si è ridotta dell’86%. Numerosi gli arretramenti delle fronti, in gran parte dovuti alla cesura delle parti frontali, pari a quasi un chilometro per la Vedretta de la Mare e a 600 metri per il Ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello). E il Ghiacciaio della Marmolada che tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto, nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. In linea con gli altri due settori le perdite di spessore registrate per i ghiacciai di Malavalle e della Vedretta Pendente. Qualcosa di veramente anomalo è accaduto dunque nell’estate 2022, in termini di deglaciazione. Una situazione che addirittura ha costretto i glaciologi ad aggiornare le scale grafiche dei bilanci di massa, perché le perdite sono andate oltre le più normali previsioni.
Marmolada, facciamo un passo indietro
Con la scomparsa dei ghiacciai svaniscono paesaggi stupendi. Opere d’arte, forgiate dalla natura, belle quanto il Colosseo o il duomo di Milano, si liquefanno nel silenzio più totale. A parte il bisogno etico di restituire la percezione di trovarci al cospetto di una qualcosa di più importante del nostro personale interesse, c’è per noi che frequentiamo questo ambienti, l’esigenza di trasmettere la consapevolezza che gli impatti devastanti del riscaldamento globale non sono più uno scenario probabilistico che avrà luogo in un imprecisato futuro, ma sono già in atto e molto ben visibili. Il cambiamento climatico (come tutti i cambiamenti) confligge con l’idea che il mondo sia sempre andato avanti nella stessa maniera e che, passata l’emergenza, tutto tornerà come prima.
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Ora però non si può più far finta di niente, è arrivato il momento di accettare il fatto che quel che pareva immutabile è destinato a mutare. I ghiacciai, in particolare quelli alpini, rappresentano uno degli indicatori più evidenti di questa possibile nuova apocalisse a puntate: la spia rossa che si accende per segnalarci che il motore non funziona più bene.
(*Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente)