Il Bhutan, piccolo regno himalaiano (esteso poco più del Trentino Alto Adige, poco meno della Calabria) dimezza il salatissimo costo di ingresso che impone ai suoi turisti. Da settembre, e per i successivi 4 anni, per scoprire Thimpu e dintorni basterà una tassa giornaliera di 100 dollari, contro i 200 richiesti ora. 

Da sempre promotore di una forma di turismo lento, per quanto possibile sostenibile e rispettoso della cultura locale e dell’ambiente, il Bhutan si è sempre sforzato di limitare gli accessi anche con una politica “tariffaria” che scoraggiasse i meno abbienti. Meta elettiva di quell’alta società occidentale che ama la cultura e le tradizioni dell’Estremo Oriente (Richard Gere è un habitué), il Bhutan ha sempre cercato di arginare il fenomeno del turismo di massa, anche con normative che ad esempio impediscono di scalare le sue vette – le più alte sfiorano i 7.500 metri – per tuterlarne la sacralità. 

Ora però, con il settore che stenta il pieno recupero a un anno dalla fine delle restrizioni anti-covid, si è deciso di cambiare passo. In realtà, la tassa giornaliera, che pure non era una novità, non era mai stata tanto alta, come in questi ultimi mesi, quando, proprio al termine del periodo di chiusura da pandemia, la suddetta “Sustainable Development Fee” era lievitata dai 65 dollari giornalieri (ai quali comunque bisognava aggiungerne fino a un minimo complessivo di 250 acquistando un pacchetto di alloggio e servizio locali) agli attuali 200. La giustificazione addotta per l’aumento era stata quella della necessità di “controbilanciare” l’aumento delle emissioni di anidride carbonica generate dal turismo.

“Il provvedimento – ha scritto il governo locale in una nota – è conseguenza dell’importante ruolo del turismo sul fronte della capacità di generare occupazione e crescita economica”.

Aperto al turismo internazionale soltanto dal 1974, il piccolo regno asiatico riceveva allora appena 300 visitatori l’anno, che sono diventati oltre 315mila nel fatidico 2019, con un incremento del 15,1 per cento sull’anno precedente. Numeri comunque esigui rispetto al vicino Nepal, e perlopiù costituiti da “big spender”.

Ora però che il governo locale vorrebbe far lievitare il contributo del turismo all’economia locale, che vale poco meno di 3 miliardi di euro, portando il suo contributo al pil dall’attuale 5 per cento fino al 20 per cento, urge un cambio di rotta.

Per il momento Dorji Dhradhul, direttore denerale del dipartimento del Turismo, è convinto che il dimezzamento della tariffa giornaliera porterà un significativo aumento degli arrivi internazionali nel quadrimestre settembre-dicembre, stagione apicale, vuoi per la fine del monsone, vuoi per l’alta densità di eventi culturali e religiosi. 

In giugno il Bhutan aveva già semplificato le regole di accesso al Paese, senza ottenere gli effetti sperati. Bhutan ha raccontato che sinora, da gennaio, gli arrivi internazionali sono stati circa 56mila, ma che di questi 42mila erano visitatori indiani, ai quali viene applicata una tassa d’ingesso di sole 1.200 rupie (14,5 dollari) al giorno. Il turismo dà lavoro a circa 50mila bhutanesi producendo ricavi che nei tre anni pre-covid avevano raggiunto un livello medio di 84 milioni di dollari annui.