Cresce il business se cresce l’attenzione al territorio. È un quadro esaltante quello che emerge dalla prima Ricerca nazionale sulle Società Benefit 2024. Tra il 2019 e il 2022 l’aumento del fatturato è più che doppio nelle aziende che integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, quello di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera. Il report documenta una maggiore produttività per addetto, più investimenti per il futuro e attenzione alla creazione di valore condiviso. Alla fine del 2023, erano salite a 3.619 le società benefit, registrando un aumento del 37,8% rispetto all’anno precedente, un mondo che riguarda 188mila persone occupate.
Il mondo delle società benefit e delle b-corp (la differenza consiste nel fatto che mentre le prime hanno uno status giuridico riconosciuto, le seconde sono valutate da un ente certificato terzo), è stato raccontato a Roma durante il talk Un’impresa possibile sull’Astronave Terra, organizzato dal Quasar Institute for Advanced Design durante l’evento Ri-Velazioni, pensato per esplorare l’universo dell’architettura e del design rigenerativi.
Stefano Pieretti di Nativa, la società che ha portato in Italia il movimento benefit, ha illustrato prerogative e attività di questa categoria di imprese virtuose partendo proprio dalla storia dell’impresa di cui è Regenerative architecture benefit unit leader. “Nativa – ha raccontato Pieretti – è la società che per prima è riuscita a vedersi riconosciuto in una Camera di Commercio italiana, dopo tre tentativi, uno statuto aziendale con finalità benefit oltre che di business”.
Le migliori performance delle aziende benefit rispetto alla non-benefit sono evidenziate anche da una più alta produttività e da livelli e crescita più elevati dell’Ebitda margin, ovvero il rapporto tra margine operativo lordo e ricavi, passato dall’8,5 per cento del 2019 al 9 per cento del 2022 per le società benefit e dall’8,1 per cento all’8,3 per le altre.
Le società benefit rappresentano ancora una nicchia rispetto al totale delle imprese italiane (1,23 per mille), ma il trend di crescita è in continua accelerazione dal 2016, anno di introduzione della legge italiana che le riconosce. Lo studio è realizzato da un gruppo di lavoro eterogeneo di esperti sul tema, composto da Nativa, Research Departement di Intesa Sanpaolo, InfoCamere, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova, Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit.
La ricerca evidenzia, anche, come le società benefit riconoscano maggiormente il valore del capitale umano: il costo del lavoro medio per addetto è di 41 mila euro contro 38 mila, ridistribuendo dunque di più la ricchezza tra i lavoratori. Emerge anche un maggiore grado di investimento in leve strategiche per il futuro: per esempio, tra le aziende manifatturiere la quota di imprese internazionalizzate è pari al 41 per cento tra le Società benefit, sette punti percentuali in più rispetto alle altre imprese, lo stesso vale per la richiesta di brevetti (24 per cento contro 13 per cento), i marchi registrati a livello internazionale (35 per cento contro 19) e l’ottenimento di certificazioni ambientali (35 per cento contro 18), a conferma di come una delle caratteristiche principali delle benefit sia quella di operare con una visione di lungo termine.
In questo scenario, è determinante il ruolo di designer, architetti e di chiunque svolga una professione che abbia a che vedere con la progettazione e la rigenerazione. Per questo, l’incontro tra Nativa e un’accademia di design e architettura come Quasar, il cui amministratore delegato e direttore didattico, Luna Todaro, è fondatrice di una delle prime società benefit italiane, Hilal, specializzata nella produzione di prodotti a base naturale per la cura del corpo e la cosmesi.