Da 3,81 a 10,02 miliardi di dollari nel giro di cinque anni: è la crescita, a un tasso medio annuo del 21,3%, che Research and markets stima nel periodo 2022-2027 per il mercato globale dell’agricoltura verticale. Giunge a conclusioni analoghe anche una ricerca firmata da Allied market research, che alla fine del 2020 fotografava la dimensione del mercato del vertical farming a 3,24 miliardi di dollari, con prospettive di crescita del 22,9% annuo, fino ad arrivare a superare quota 24 miliardi nel 2030. Prima di capire cosa può spingere a tal punto il settore, va ricordato che l’agricoltura verticale consiste, in estrema sintesi, nel coltivare su più livelli, sviluppandosi verso l’alto anziché in orizzontale e riducendo così l’impiego del suolo, dei terreni e il loro impoverimento.
Secondo i numeri riportati da Allied market research, un ettaro di agricoltura verticale equivale a nove di coltivazione tradizionale, consentendo il risparmio di circa 200 tonnellate di acqua al giorno. Oltre al minore consumo di risorse idriche, il vertical farming tende a essere a basso impiego di pesticidi. Così, tra i fattori che depongono a favore di una forte crescita del settore, a detta di Allied market research, ci sono la sempre maggiore popolarità di cui gode il cibo organico (che non ha subìto processi di lavorazione industriale), così come la riduzione delle terre che possono essere arate. Vanno poi considerate le questioni ambientali e collegate al risparmio energetico, tema quest’ultimo di grande attualità con la crisi del gas e del petrolio scatenata dalla guerra ucraina.
Allied market research segnala poi che alcune tendenze connesse alla diffusione della pandemia del Covid-19, come le difficoltà legate alle catene di fornitura (poi ulteriormente accentuate dal conflitto della Russia in Ucraina), potrebbero contribuire a spingere ulteriormente il mercato dell’agricoltura verticale. Dall’altro lato della bilancia, c’è però da considerare che a frenare la crescita del segmento potrebbero essere gli investimenti e l’azzardo di puntare su una tecnologia che comunque è agli albori.
Tra le società del settore, Research and markets indica 4D Bios, Bowery Farming, Freight Farms, Merican Hydroponics e Reen Sense Farms. In Italia, c’è per esempio Planet Farms, fondata da Luca Travaglini e Daniele Benatoff, che si propone di raggiungere i massimi risparmi energetici e i minimi sprechi alimentari lungo l’intero processo produttivo. Negli stabilimenti di Planet Farms, spiegano dall’azienda, “l’acqua e i sali minerali non assorbiti dalle colture vengono reintegrati e rimessi in circolo. Solo l’acqua necessaria alle piante, né più né meno, viene assorbita dall’apparato radicale e realmente consumata. L’apparato fogliare non viene mai in contatto con l’acqua grazie non solo all’efficiente sistema di irrigazione ma anche al fatto che non è necessario il lavaggio del prodotto, il quale viene direttamente confezionato dopo la fase di taglio. Tutto ciò comporta una riduzione di oltre il 95% del consumo di acqua, rispetto ai tradizionali processi di coltivazione e produzione”.
“Oggi – osserva Benatoff, co-ceo di Planet Farms – emerge chiaramente un trend legato a consumatori sempre più sensibili alla qualità di ciò che mangiano e alla sostenibilità dei prodotti che scelgono ogni giorno. A incontrare questa domanda, una tecnologia che ci permette di produrre dei prodotti sani, freschi e di qualità, senza privare il pianeta delle sue risorse. Quando l’evoluzione sostenibile viene incontro ai consumatori fornendo risposte concrete, insieme è possibile creare un mondo nuovo con una velocità strabiliante”.