“Come finirà Cop29? Con un accordo che innalzerà a 200 o 300 miliardi di dollari, dagli 100 attuali, il contributo dei Paesi ricchi alla finanza climatica. Con un meccanismo volontario di contribuzione per i Paesi in via di sviluppo ma economicamente forti, in modo da allargare la base dei donatori. E penso anche con un contributo specifico alle piccole isole, le nazioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici”. Francesco La Camera dal 2019 è direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena). Conosce bene la Cina, dove negli ultimi anni eolico e fotovoltaico hanno registrato un boom senza eguali. Ma anche i petrostati del Golfo: Irena ha il suo quartier generale negli Emirati Arabi Uniti. Ed ha una certa dimestichezza con la diplomazia climatica che va in scena nelle Conferenze delle parti sul clima: “L’anno scorso, in quella di Dubai, abbiamo supportato la presidenza emiratina di Sultan Al Jaber”, ricorda La Camera. “Gli impegni presi a Cop28 su triplicazione delle rinnovabili e raddoppio della efficienza energetica si basavano sulle analisi di Irena”.

Direttore La Camera, torniamo alla Cop29 di Baku: l’esito che lei prevede è conseguenza del G20 appena conclusosi a Rio de Janeiro?

“Non credo. L’impegno dei Grandi a sostenere la presidenza della Cop29 e a portare a termine con successo i negoziati a Baku, potrebbe al contrario voler dire che in Brasile non è stato raggiunto un accordo su questi temi e che si rimanda la soluzione alle trattative in corso qui”.

Soluzione che verrà trovata?

“Penso proprio di sì. Anche se i veri cambiamenti, più che in questi consessi, si manifestano nel mondo reale”.

Si riferisce alle energie rinnovabili?

“L’agenzia che dirigo si occupa di quello. La crescita a livello globale è evidente e irreversibile. Si va verso una trasformazione del mercato energetico che ruoterà intorno a eolico, fotovoltaico, biomasse e idrogeno verde”.

Ma l’impegno sottoscritto a Dubai di triplicazione entro il 2030 è alla portata?

“All’inizio di quest’anno la Presidenza di Cop28 ha chiesto a Irena di monitorare i progressi fatti. Purtroppo i nostri datti confermano che, fatta eccezione per il solare fotovoltaico, le nuove installazioni di energie rinnovabili a livello globale sono ben al di sotto del livello necessario a centrare l’obiettivo. E lo stesso si può dire per l’efficienza energetica. Insomma, il processo è avviato ma procede troppo lentamente”.

La rielezione di Donald Trump frenerà ulteriormente la transizione energetica e il boom delle rinnovabili Usa?

“Potrà rallentarlo, ma non fermarlo. Già durante il suo primo mandato le centrali a carbone americane chiudevano mentre le rinnovabili crescevano. L’Amministrazione Biden ha dato una ulteriore spinta e ora sarà davvero difficile per il nuovo presidente invertire la tendenza, soprattutto in alcuni “red states”, roccaforti repubblicane come il Texas che stanno investendo in eolico”.

Si torna a parlare di nucleare. Negli Stati Uniti dove le grandi compagnie tecnologiche hanno fame di elettricità per alimentare i loro server, ma anche in Italia.

“Rispondo con alcuni dati. Grazie ai costi inferiori e alla maggiore efficienza, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) afferma che le energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, sono dieci volte più efficaci del nucleare nel ridurre le emissioni di anidride carbonica. Secondo la Stanford University, le nuove centrali nucleari costano da 2,3 a 7,4 volte di più dell’eolico o del solare terrestre per kilowattora di elettricità, impiegano dai cinque ai 17 anni per essere installate e producono da nove a 37 volte le emissioni per kilowattora dell’eolico. Le nuove centrali nucleari in un anno aggiungono la stessa quantità di elettricità che le energie rinnovabili ne aggiungono ogni pochi giorni: la Cina, per esempio, sta installando una capacità eolica e solare equivalente a cinque nuovi reattori nucleari alla settimana”.

A proposito di Pechino, che ruolo giocherà nella transizione energetica?

“In quel Paese hanno il 50% di tutte le rinnovabili installate nel mondo. E se prima i cinesi erano ritenuti bravi solo a copiare le tecnologie altrui, ora si dimostrano grandi innovatori”.

Ma la Cina può davvero prendere la leadership della transizione ecologica, nel vuoto lasciato dagli Usa di Trump?

“Potrebbe. Ma, nonostante la simpatia che nutro per i cinesi, grazie anche al loro impegno nelle rinnovabili, penso che non sia mai positivo avere un solo Paese al comando”.

Nei giorni scorsi il meccanismo delle Cop è stato criticato e definito inadeguato: troppo lento per risolvere una crisi urgente come quella climatica. Che ne pensa?”

“Ho trovato inopportuno un rilievo del genere con una Cop in corso. Si rischia di indebolire un processo già debole di suo. E non condivido le critiche sulla scelta dei Paesi ospitanti: Baku non è stata imposta, è stata votata. Così come Dubai. E se la Cop28 si fosse fatta in un Paese europeo anziché negli Emirati, produttori di petrolio, probabilmente non avrebbe portato agli stessi risultati, a loro modo storici: la transition away dai combustibili fossili, la triplicazione delle rinnovabili, la duplicazione dell’efficienza energetica”.