“La flotta di macchine, 250 veicoli, è scomparsa quasi da un giorno all’altro. Nessuna comunicazione e quando chiami l’assistenza dicono solo che è colpa delle troppe macchine danneggiate”. Jonny Hassid, 49 anni, è in Italia dal 2018, a Roma per l’esattezza, dove si è trasferito da Londra. Ha rinunciato ad avere una propria macchina convinto che il futuro inevitabile della mobilità fosse nei servizi di condivisione. Li ha sfruttati tutti, da Share Now a Enjoy, da Car Sharing Roma a Drivalia, finché non si è reso conto che le flotte di veicoli diminuivano e in alcuni casi sparivano del tutto come per Drivalia.
Proviamo a contattare Drivalia, che ha rimpiazzato Leasys Rent, ma oltre a un centro assistenza che sostiene di non saper molto, nemmeno alcuni responsabili della comunicazione su Linkedin rispondono. La questione però sembra essere più ampia. Nel nostro Paese i servizi per noleggi a breve termine di automobili hanno fatto diversi passi indietro tornando ai livelli precedenti al 2016, sia in termini di parco macchine sia di corse effettuate. Stando all’ultimo Rapporto nazionale sulla sharing mobility, eravamo arrivati a 7mila veicoli disponibili nel 2019, ridotti nei due anni della pandemia a poco più di 5mila.
Non è un buon segno se si tiene conto che abbiamo nove città che si candidano ad essere a zero emissioni entro il 2030: Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. Sono tutte nella lista delle 100 metropoli dell’Unione europea che partecipano alla Missione di Horizon Europe per arrivare alla neutralità carbonica in appena sette anni.
Come Bruxelles, Helsinki, Parigi, Monaco e Copenaghen. Peccato che negli ultimi dieci anni non abbiamo fatto gli stessi progressi di alcune di queste capitali europee e se perfino la mobilità condivisa arretra, sarà davvero difficile raggiungere gli obiettivi prefissati.
“Monopattini e biciclette elettriche vanno bene, anzi vanno sempre meglio. Lo stesso però non si può certo dire del car sharing”, conferma Massimo Ciuffini, classe 1966, coordinatore dell’Osservatorio nazionale Sharing Mobility, nato da un’iniziativa del ministero delle Infrastrutture, della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e dal ministero della Transizione ecologica quando ancora così veniva chiamato. “È un momento di crisi pesante dal quale non credo si uscirà a breve anche se le prospettive a medio e lungo termine non sono così nere”. Non è una flessione omogenea, sia riguardo le città sia i singoli servizi. Enoj ad esempio è passata da 2500 a 3000 macchine fra il 2019 e il 2022. Ma a quanto pare è un’eccezione.
McKinsey a gennaio ha pubblicato nuove stime. Nel complesso la mobilità condivisa potrebbe arrivare a generare altri 860 miliardi di dollari nel 2030 che si aggiungeranno ai 130 miliardi raggiunti in questi anni. In linea con la filosofia di Janette Sadik-Khan, ex assessore al trasporto di New York, che qualche tempo fa ha sostenuto: “La libertà non è, come dicono alcuni, poter guidare ovunque. La libertà consiste nel poter andare ovunque senza un’auto”.
Nel frattempo però nel nostro Paese, oltre a chi è rimasto a piedi perché fa fatica a trovare un mezzo che non sia un monopattino, il traffico è tornato su livelli di guardia e l’uso del trasporto pubblico non si è mai davvero ripreso dalla fase acuta dell’emergenza sanitaria, stando all’Osservatorio Stili Mobilità di Legambiente. Genova ha introdotto il trasporto pubblico gratuito, ma è stata una delle poche mosse davvero innovative viste di recente.
A Parigi per altro i monopattini li vogliono vietare, ci sarà un referendum sul tema a maggio, perché giudicati pericolosi preferendo la bicicletta. A Roma il sindaco Roberto Gualtieri ha imposto che assieme alle bici elettriche siano presenti in tutti i quartieri mettendo ordine nel settore e consentendo le operazioni a soli tre operatori, ma riducendo anche il numero di entrambe le tipologie benché di poco. Intanto il parco macchine di Share Now è molto ridotto rispetto ad un tempo nella capitale, a differenza di altre città come Milano che si conferma il punto di riferimento della mobilità di nuova generazione per numero di mezzi e di servizi. A Napoli invece, terza città italiana, c’è poco o nulla come in molte altri centri del sud. E se è vero che diminuisce la quota di capoluoghi privi di una qualsiasi alternativa al mezzo privato, erano 49 nel 2020 ora sono 46, ci sono ancora regioni come Molise, Basilicata e Umbria dove non è presente un solo servizio di sharing.
“Nella crisi post pandemia soprattutto sono diminuiti gli spostamenti della popolazione italiana”, commenta Andrea Poggio di Legambiente. “L’auto privata ha recuperato prima ed ora ha raggiunto lo stesso livello 2019. Sono aumentati, solo in città, spostamenti a piedi. Diminuiti tutte le altre modalità: la bici aumenta un po’ solo in quei centri dove si è investito in piste ciclabili come Milano. Siamo diventati più poveri, certamente non più ecologici”.
Poter rinunciare alla propria vettura significa spendere meno oltre che inquinare meno ed è forse per questo che un settore simile dovrebbe rientrare nelle strategie del Paese. Non tanto penalizzando la proprietà di una vettura, ma favorendo la rinuncia grazie ad un trasporto pubblico capillare e magari anche gratuito e garantendo la continuità e la qualità di quei servizi che offrono veicoli condivisi, cosa che invece capita raramente. Quando ad esempio Lime acquisì da Uber, le bici elettrche Jump scomparvero per diversi mesi.
Secondo alcune stime, fatte ad esempio dal sito Motor1, per mantenere un’auto fra costi di possesso e costi di utilizzo bisogna spendere un minimo di 750 euro all’anno con una media di 1250 euro, escluso il carburante. Se poi aggiungiamo la benzina, si arriva a circa 3650 euro per una macchina compatta, ovvero 304 euro al mese. Sempre tenendo presente che si tratta di veicoli che nel 95% del tempo restano parcheggiati.
Ad Amsterdam la bici si parcheggia anche sott’acqua
Luigi Licchelli, 46 anni, responsabile del car sharing per Assosharing, l’associazione di categoria, oltre ad essere responsabile dello sviluppo e rapporti istituzionali di Share Now, ammette le difficoltà a Roma della sua compagnia. Garantisce però che si tratta di problemi temporanei, frutto del rallentamento della produzione a livello internazionale e del calo della domanda durante la pandemia. “Il problema è più ampio”, sottolinea. “Stiamo parlando di servizi di pubblica utilità che andrebbero se non aiutati quantomeno non ostacolati con dazi gravosi da parte dei Comuni per l’accesso ai centri storici e il parcheggio entro le strisce blu. Un solo veicolo in car sharing può arrivare a sostituire fino a 18 macchine private. Se ad esempio a Roma ci fossero 20mila auto condivise si potrebbero togliere dalla strada 200mila vetture. Le città sono ormai dei parcheggi a cielo aperto e per cambiare direzione bisogna che certe soluzioni vengano sostenute”.
Al precedente governo Assosharing aveva chiesto il taglio dell’iva al 10%, oggi si accontenterebbe di agevolazioni da parte dei Comuni per il pagamento annuale dei permessi a circolare e parcheggiare ovunque. Cosa che accade ad esempio a Madrid, una delle città che ha il maggior numero di servizi di car sharing in Europa, o ad Amburgo dove la municipalità ha fatto un accordo con i servizi di car sharing chiedendo l’elettrificazione dei mezzi ma prendendo l’impegno di mettere a terra una struttura diffusa per la loro ricarica.
Che siano servizi di utilità pubblica e che in quanto tali svolgano un ruolo importante nel decongestionare dal traffico nelle città, aiutandole ad abbattere le emissioni, ci sono pochi dubbi. Dall’altro però l’instabilità di certi servizi non aiuta certo a convincere i cittadini a rinunciare all’acquisto di una macchina. E sono i Comuni che dovrebero intervenire su entrambi i fronti con avvisi pubblici chiari che offrano la possibilità di operare a condizioni vantaggiose in cambio di garanzie sul numero di veicoli disponibili e sulla durata nel tempo del servizio stesso. Insomma, una strategia a lungo termine che non tutti sembrano avere. “Se le cose continuano a peggiorare sarò costretto ad acquistare una macchina”, conclude Jonny Hassid con rammarico. Secondo lui Roma e altre città italiane non potrebbero che trarre enormi benefici da una migliore mobilità condivisa.