Abbiamo pubblicato, condiviso, commentato, approvato, confermato. Mai come da due anni a questa parte, quando è iniziata la pandemia che ha cambiato il mondo, la nostra attività social è stata così intensa e pervasiva. E soprattutto quasi completamente monotematica: contagi, vaccini, terapie, farmaci, restrizioni, ossia tutto quello che riguarda il Covid-19.
Così monotematica, a quanto pare, da aver fatto calare l’interesse per un’altra questione altrettanto importante, se non di più, ovvero il clima del pianeta e il suo progressivo cambiamento.
A certificarlo è un articolo appena pubblicato sulla rivista Plos ONE da un’équipe di scienziati della Harvard University di Cambridge, della Vrije Universiteit di Amsterdam e di altri istituti di ricerca statunitensi, olandesi e neozelandesi: gli autori del lavoro, monitorando un imponente corpus di condivisioni e commenti su Facebook negli ultimi due anni, hanno infatti osservato una diminuzione dell’80% nei contenuti relativi al cambiamento climatico, il che – dicono – suggerisce la necessità di rinforzare le strategie di comunicazione in materia di clima per rialzare il livello di attenzione dell’opinione pubblica.
“Il cambiamento climatico e la pandemia di Covid-19”, scrivono gli autori, “rappresentano due crisi globali che avvengono su scale temporali diverse, e ci sono forti preoccupazioni che le minacce più immediate – in questo caso quelle della pandemia – facciano diminuire l’interesse per minacce più a lungo termine”. È il cosiddetto “effetto di distrazione”, d’altronde poco sorprendente: diverse ricerche hanno mostrato che gli esseri umani hanno una “capacità cognitiva di carico” limitata rispetto agli strumenti di comunicazione di massa. Ovvero, detto meno tecnicamente, che in presenza di un problema impellente, questo monopolizza sia le nostre preoccupazioni sia le nostre azioni comunicative, facendoci trascurare tutti gli altri.
Per verificare se il fenomeno fosse reale nel caso di Covid e cambiamento climatico, gli scienziati hanno scaricato un set di dati contenente tutti i link condivisi (e ricondivisi) su Facebook nel periodo compreso tra gennaio 2019 e gennaio 2021, in ventuno lingue diverse (tra cui anche l’italiano) e ne hanno isolati tutti quelli che contenevano le parole “cambiamento climatico” o “riscaldamento globale”.
Successivamente, hanno definito una grandezza, chiamata “Climate social media salience index” (Climate SMSI), corrispondente al rapporto tra il numero di link condivisi contenenti le parole “cambiamento climatico” o “riscladamento globale” e il numero totale di link condivisi in una certa regione del mondo in un certo giorno. E infine hanno sovrapposto questa grandezza al numero di contagi giornalieri da Covid-19 nella stessa regione: è emerso, effettivamente, che gli andamenti sembrano essere correlati, nel senso che all’aumento dei casi (e quindi, ragionevolmente, all’aumento delle discussioni social sul tema del Covid) è corrisposta una diminuzione del numero di condivisioni sul tema del cambiamento climatico, che indirettamente fa pensare a una diminuzione dell’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione.
Il fenomeno, in sé potrebbe non essere così sorprendente né preoccupante, ma va considerato che, in realtà, pandemia e cambiamento climatico, e più in generale pandemia e attività antropiche, non sono affatto scorrelate: sappiamo infatti, per esempio, che la deforestazione porta gli esseri umani sempre più a stretto contatto con la fauna selvatica, aumentando le possibilità di spillover, e che l’aumento dell’urbanizzazione e della densità abitativa semplifica il contagio e aumenta le difficoltà di controllo dei patogeni.
“Se la società è costantemente distratta da eventi apparentemente indipendenti dai cambiamenti climatici, come la pandemia, le instabilità civili e le crisi economiche”, concludono gli autori, “certamente le azioni per contrastare i cambiamenti climatici ne soffriranno. Per evitarlo, scienziati e comunicatori dovrebbero invece evidenziare l’interconnessione presente tra questi problemi, e lanciare un messaggio unificato di ‘sostenibilità sistemica’. La società deve comprendere che questioni come la perdita della biodiversità, le pandemie, l’iper-urbanizzazione e l’iniqua concentrazione della ricchezza sono tutte legate tra loro”.