I testimoni dicono di averlo visto scendere dal cielo, il 30 dicembre, dopo un boato. Era un grande anello incandescente precipitato tra gli alberi vicino a un paese del Kenya meridionale. Veniva dallo spazio, pare, detta così sembra l’incipit di un’invasione aliena. Più prosaicamente, dovrebbe trattarsi del pezzo di un razzo approdato nello spazio forse anni fa, scenario invece sempre più “banale”.

Detriti spaziali precipitano in Kenya: il ritrovamento in un villaggio

Si è schiantato vicino al villaggio di Mukuku, nella contea di Makueni, a sudovest di Nairobi. Senza avere certezza della sua origine, l’ipotesi è che questo cerchio di metallo largo due metri e mezzo e pesante mezza tonnellata, sia un elemento appartenuto a un vettore spaziale. Chi si è precipitato sul posto ha raccontato che continuava a sprigionare calore una volta toccato terra, sarebbe l’indizio dell’attrito con l’atmosfera che ha reso incandescente un oggetto precipitato a velocità elevatissima da centinaia di chilometri di altezza. L’Agenzia spaziale del Kenya (Ksa) lo ha identificato come l’anello di separazione tra gli stadi di un veicolo spaziale, sottolineando che questo è un “caso isolato” e questo tipo di oggetti sono “progettati per bruciare completamente durante il rientro in atmosfera o precipitare in zone disabitate come gli oceani”. Questa volta non è accaduto.

La Ksa ha annunciato di aver aperto un’inchiesta per scoprire a chi appartenga il razzo da cui si è staccato lo space debris, ancora ci sono solamente ipotesi. Quella, avanzata da Space.com, che appartenga al un razzo Atlas Centaur in orbita da oltre 20 anni, e che era previsto che precipitasse proprio nelle stesse ore. Tuttavia, sembra sia precipitato sì, ma nei pressi del lago Baikal, in Russia. Secondo l’astrofisico Jonathan McDowell, non è ancora escluso che possa trattarsi del pezzo di un aereo. Continua quindi la caccia al responsabile, anche se di danni, a quanto pare, non ce ne sono stati, né a cose, né a persone. Le cronache locali riportano di un malcontento diffuso tra la gente del villaggio, che si è vista piombare in testa un oggetto piuttosto massiccio e se avesse colpito un edificio avrebbe causato danni gravi, potenzialmente una strage.

Spazzatura orbitante

Il tema è all’ordine del giorno sui tavoli degli organismi competenti nel regolamentare gli affari spaziali. Quello dei detriti, della spazzatura orbitante e di tutto ciò che comporta in termini di sicurezza, sia per i satelliti e gli astronauti oltre l’atmosfera, che per chi sta con i piedi ben piantati per terra. A marzo 2024, una famiglia della Florida ha chiesto un risarcimento alla Nasa dopo che un pezzo di spazzatura (una batteria) scaricato dalla Stazione spaziale internazionale ha sfondato il tetto della loro casa. Non è raro che elementi di razzi soprattutto sopravvivano al rientro in atmosfera, sono le parti metalliche più resistenti a farcela. Il rischio di essere colpiti o che ci siano danni è molto, molto basso, normalmente precipitano in mare. Ma è in aumento.


Le segnalazioni sono molte, solo di recente in Canada e Stati Uniti, dove sono precipitati pezzi di una capsula Dragon di SpaceX, si tratta del modulo di servizio che viene espulso prima del ritorno a terra. Un altro frammento ha bucato il tetto di una casa in Uganda, a maggio 2023. Nel 1997 l’unico caso documentato di una persona colpita: Lottie Williams, 48 anni, stava camminando in un parco di Tulsa, in Oklahoma, quando è stata “toccata” su una spalla da un frammento metallico caduto dal cielo. Senza conseguenze. Il proiettile è risultato essere il frammento di un razzo precipitato in atmosfera poco prima. Il traffico lassù è aumentato parecchio, ultimamente, perché le attività spaziali sono diventate frenetiche.

Lanci spaziali, nuovo anno record

Merito (o colpa) soprattutto di SpaceX. Quello che si è appena concluso è stato un altro anno record per i lanci spaziali. In totale, nel mondo, si sono effettuati 261 lanci, erano stati 223 l’anno precedente. SpaceX, in particolare, ne ha totalizzati 134, nel 2023 si era fermata sotto quota 100. Costruire infrastrutture in orbita è diventato ormai indispensabile. Ma come ogni attività umana, ogni lancio produce spazzatura, perché a ogni decollo e messa in orbita di satelliti c’è lo stadio di un razzo che, una volta esaurito il proprio compito, continua per la propria strada, orbitando fino a quando infine non “deorbita” trascinato giù dallo scarso attrito con la tenue atmosfera. E senza un meccanismo che lo faccia rientrare in modo controllato, rappresenterà sempre un rischio.

Per questo motivo l’Agenzia spaziale europea sta promuovendo la Zero debris charter, carta di impegni per far sì che chiunque lanci qualcosa nello spazio si faccia carico di togliere di mezzo ciò che non serve non appena ha svolto il proprio compito. L’ultimo stadio dei razzi, quello che arriva più in alto e acquista più velocità, responsabile di rilasciare il carico in orbita, e i satelliti giunti a fine vita, prima che si spengano e diventino ingovernabili dal centro di controllo. L’Occidente si sta impegnando per mitigare questo rischio, la Cina, almeno finora, non ha fatto altrettanto.

Sei decenni di lanci spaziali e attività in orbita hanno complicato tanto le cose. Soprattutto nell’ultimo periodo, in cui le traiettorie si sono andate affollando parecchio, soprattutto con le mega costellazioni da migliaia di satelliti come Starlink di SpaceX. Attualmente, sono circa 13 mila i satelliti in orbita, 10 mila quelli operativi, funzionanti. Poi ci sono tantissimi relitti, pezzi di razzo e satelliti spenti, morti, ormai non più governabili, che sfrecciano a quasi otto chilometri al secondo. Ci sono i detriti, pezzetti generati da impatti ed esplosioni: secondo l’Esa circa 40 mila oggetti più grandi di 10 centimetri, oltre 100 mila da 1 a 10 centimetri, e circa 130 milioni grandi da 1 a 10 millimetri. Ognuno è un proiettile che viaggia a 28 mila chilometri all’ora, venti volte più veloce di una pallottola. Sul tema, due libri interessanti sono Spazzini spaziali, del fisico Ettore Perozzi, ed Ecologia spaziale, dell’astrofisica Patrizia Caraveo.


Lo spazio inquinato

Anche un frammento di piccolissime dimensioni può fare danni considerevoli, se colpisce un satellite può metterlo fuori uso, può “bucare” le pareti di una capsula o di una stazione spaziale e generare perdita di pressione dove vivono gli astronauti. Ed è una minaccia per gli stessi astronauti in caso di attività extra veicolari, le “passeggiate spaziali”, durante le quali l’unica protezione sono i sottili strati della loro tuta. L’origine di questi frammenti è dovuta, principalmente, alla rottura di serbatoi di razzi e satelliti, colpiti e surriscaldati dalla luce del Sole (accade piuttosto spesso, l’ultimo in ordine di tempo, lo scorso dicembre).

Alcuni test anti satellite, come quello russo di novembre 2021, hanno generato nuvole di pezzetti che hanno inquinato anche l’orbita lungo la quale viaggia la Iss. E poi l’unico impatto, finora documentato, avvenuto nel 2009, tra il satellite russo Kosmos 2251 (spento e ingovernabile), e Iridium 33, che invece era attivo.

Per evitare questi eventi, agenzie spaziali, enti di monitoraggio e compagnie private tracciano quotidianamente questa minaccia e ogni anno vengono comandate decine di manovre per evitarli. Il timore è quello di un effetto a cascata, innescato dalla sempre maggiore presenza di detriti e la sempre più fitta trama di satelliti e oggetti in orbita. Lo scenario temuto è quello di impatti via via più frequenti che danno origine ad ancora più detriti, e così via. Si chiama “sindrome di Kessler”, è lo spazio malato, inquinato. Intendiamoci, lo spazio è grande e siamo ancora in tempo per mitigare e risolvere il problema, sempre se l’ormai annosa e cronica questione della plastica, che ormai avvelena tutto, dai pesci nell’oceano fino ai ghiacci antartici, ci ha insegnato qualcosa.