A che cosa serve l’altruismo in natura? Se per gli esseri umani si tratta di un concetto quasi scontato, per gli animali la sua sola esistenza ha causato molte notti insonni allo stesso Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione. Ed è proprio da questa domanda che è nata la mostra, “Il dilemma dell’altruismo”, ospitata all’interno del Muse, il Museo delle Scienze di Trento, visitabile fino al 3 aprile. Un’esposizione, tra fotografie, video e interviste, che parte dalla definizione scientifica di altruismo, che consiste nella messa in atto di comportamenti in cui i costi, per chi li compie, sono maggiori dei benefici, fino ad arrivare ad allargare lo sguardo su altre dinamiche come la collaborazione, la reciprocità, e l’empatia.
Il grande dilemma
Secondo gli esperti, intervistati per la mostra, l’altruismo è sempre stato un dilemma, da Darwin in poi, perché di per sé sulla carta non dovrebbe esistere. La selezione naturale, come spiegano, dovrebbe favorire comportamenti egoistici, ma il problema nasce quando questo non avviene e un animale si sacrifica per l’altro. Perché ciò accade? Come fa ad evolvere l’altruismo e ad essere trasmesso alle generazioni successive?. Seguendo questo filone, c’è un’immagine che colpisce più di altre, ed è quella scelta come copertina dell’esposizione. È uno scatto di Anil T.Prabhakar, che ha fatto il giro del mondo, dove si vede una femmina di orango, in Borneo, che aiuta un ranger in difficoltà ad uscire dall’acqua.
“Ormai sappiamo che l’altruismo in natura esiste e non è così poco comune. Certo, rimane molto raro nelle forme più estreme, ossia quando la sopravvivenza di un animale viene meno per salvarne un altro. Ma non c’è solo questo, l’altruismo può essere coniugato in tante forme diverse, e uno dei nostri obiettivi è raccontare come si è evoluto nel tempo” racconta Daniela Gentile, naturalista, curatrice, assieme a Gabriele Raimondi, di una mostra progettata tra i banchi del master Fauna and Human Dimension dell’Università dell’Insubria, grazie al professore Francesco Tomasinelli che ha spinto i suoi studenti a trasformare la loro idea in realtà.
Gli scatti di altruismo
Fra i vari esempi di altruismo raccontati c’è Koko, la gorilla di pianura occidentale, nata nel 1971 nello zoo di San Francisco. La sua vicenda è condensata in una sua replica, realizzata a grandezza naturale in materiali siliconici da Quagga wildlife art. Koko conosceva il linguaggio dei segni e, secondo i ricercatori di The Gorilla Foundation, un giorno chiese un gattino per Natale. Per lungo tempo se ne prese cura come se fosse il suo cucciolo, e quando il felino morì investito da un auto, la gorilla reagì comunicando con i segni “male, triste e pianto”. Oltre a lei, in mostra ci sono altre storie: la leonessa che ha adottato un cucciolo di leopardo, ma anche gli asili in alta quota creati dalle femmine di camoscio appenninico per alternarsi con le altre nell’allattamento e nel riposo.
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Empatia bestiale
“Il dilemma dell’altruismo – continua Gentile – aveva dato da pensare persino a Darwin. Lui stesso però era riuscito già allora a darsi delle spiegazioni, che ancora oggi valgono, anche se la scienza nel tempo ha fatto passi da gigante. Ci sono però dei comportamenti animali che rimangono tutt’ora enigmatici”. Come nel caso del delfino con la spina dorsale malformata che nuota e socializza con un gruppo di capodogli nel mare delle Azzorre, o ancora le grandi scimmie antropomorfe che, quando c’è uno scontro, non gioiscono con il vincitore, ma consolano il perdente.
“L’empatia è considerata una prerogativa della nostra specie, anche se ha diversi livelli di espressione, e alcuni comportamenti animali appaiono molto simili ai nostri. Quando parliamo di etologia c’è sempre il rischio di antropomorfismo, cioè di attribuire emozioni umane agli animali, ma è anche vero, come dice il primatologo Frans De Waal, che c’è anche il problema opposto, quello dell’antropodiniego, cioè negare a priori che ci siano tratti simili tra la nostra specie e le altre”. E forse l’empatia potrebbe essere uno di questi.