Facciamo un esercizio comparativo e accostiamo due foto recenti della presidente del consiglio Giorgia Meloni. La prima è di pochi giorni or sono e la vede ritratta mentre parla alla platea di Confindustria: sta dicendo che l’obiettivo europeo di vendita di auto 100% zero emission, al 2035, è “autodistruttivo” e va radicalmente ridiscusso; e paventa, se così non fosse, l’azzeramento dell’automotive nell’Unione, la perdita di 14 milioni di posti di lavoro e altre catastrofi.
La seconda foto, e siamo alla fine dello scorso luglio, la vede sorridente mentre stringe cordialmente la mano al presidente Xi Jinping, nel corso di una missione in Cina che aveva, tra i suoi scopi principali, quello di convincere le case auto di Pechino a impiantare la loro produzione elettrica in Italia.
La distanza temporale tra i due scatti è minima; quella politica, invece, è apparentemente incolmabile. Eppure in Meloni e nel suo governo quelle due linee – la battaglia in Europa contro l’auto elettrica e il tentativo di rilanciare l’automotive nazionale, attirando i carmaker cinesi – convivono, per quanto contraddittorio ciò possa apparire.
Il ministro Urso ha dichiarato che il 25 settembre chiederà all’Unione di anticipare la revisione dei regolamenti sulla riduzione delle emissioni di CO2 da auto e van. “Chiunque conosca il sistema produttivo sa che gli investimenti si fanno se c’è certezza”, ha dichiarato Urso. “Chiedo di anticipare questa decisione (rivedere l’impegno al 2035, ndr) perché se lasciamo l’incertezza fino al 2026 (…) rischiamo il collasso dell’industria”.
L’assunto da cui muove il ministro per il Made in Italy è corretto: la certezza delle prospettive industriali è cruciale per mobilitare capitali e sostenere la transizione. Il ragionamento che ne consegue è invece fragile: proprio perché dobbiamo garantire stabilità e prospettiva all’industria europea, che già molto ha investito, il punto non dovrebbe essere quando ridiscutere gli obiettivi che l’Unione si è data, quanto piuttosto confermarli e sostenerli con misure di finanza pubblica dell’Unione, come suggerito dal report di Mario Draghi.
L’Italia continua nel suo braccio di ferro (perdente) con Tavares e con Stellantis, chiedendo che la produzione del gruppo, nello stivale, torni a un milione di veicoli. Per tutta risposta il ceo portoghese continua a tagliare la produzione e a migrarla in Polonia, Serbia, Turchia e nord Africa. Di produttori cinesi pronti a investire in Italia, nel mentre (ma speriamo di essere smentiti presto), neppure l’ombra. Per quale motivo dovrebbero venire a produrre auto elettriche in un Paese che continua a segnalarsi per la sua ostilità a quella tecnologia?
L’Italia reclama una via di “neutralità tecnologica” al 2035; non si è accorta, forse, che è esattamente quel che prevede la normativa, che non dice in alcun passaggio che le auto vendute a partire da quella data dovranno solo essere elettriche: potrà esserci spazio per ogni tecnologia (idrogeno o carburanti sintetici) che consegua gli obiettivi climatici e si dimostri percorribile in termini industriali.
La partita del nostro governo è intesa a garantire mercati ai biocarburanti di ENI, già rigettati dall’Europa come vettori troppo emissivi e non conformi alla normativa; e a far sopravvivere, in qualche modo e in qualche misura, il motore endotermico, una tecnologia vecchia e largamente inefficiente in termini energetici. Se questo può rassicurare, nel brevissimo termine, parte della nostra industria componentistica, non può rappresentare per contro una prospettiva industriale per il Paese.
Meloni e Urso sembrano immaginare l’Italia come una “nicchia” industriale per l’endotermico, magari l’ultima a ‘resistere’ in un’Europa convertita alla produzione elettrica. Contano forse, in questo modo, di costruire una rendita di posizione che invece non potrà concretizzarsi. Non è e non sarà l’Italia a produrre auto “fossili” di serie B, o componentistica endotermica, magari per i mercati extraeuropei; altri Paesi possono farlo con maggiore competitività. Il nostro ha bisogno di innovare; ovvero, di fare l’esatto contrario delle battaglie di retroguardia a cui assistiamo da mesi. La prospettiva industriale dell’elettrificazione dell’auto è ben più che concreta: lo dimostra la competizione tra Cina, USA e Unione Europea, nonché gli enormi investimenti dell’industria. Che piaccia o meno, questa è la sola partita che le economie europee possono giocare, Italia inclusa.
*Andrea Boraschi – Direttore Transport & Environment