Una sfida all’ultima buca contro l’avversario più temibile: il cambiamento climatico. Se c’è uno sport al mondo che è sia minacciato dagli effetti del surriscaldamento sia criticato per il suo impatto ambientale questo è il golf. La crisi climatica, la pandemia, il calo di giocatori e la necessità di trovare nuove formule per affrontare la sfida della transizione energetica – come per esempio usare i campi da trasformare in parchi solari – stanno gradualmente modificando alcune delle dinamiche centrali di questo sport.
Impatto del clima
Da una parte il gioco delle 18 buche oggi soffre per eventi meteo estremi che continuano a mutare e cancellare il corso di partite e tornei, per campi verdi sempre più complessi da gestire a causa della siccità oppure per inondazioni che li trasformano in fanghiglia, ma anche per l’erosione costiera che minaccia numerosi impianti costruiti a ridosso del mare, così come per gli incendi che in più di un’occasione hanno sfiorato o colpito i percorsi.
Esempi lampanti di questi impatti arrivano da due zone dove il golf è molto praticato, Florida e California. In Florida, come ha ricordato l’American Society of Golf Course Architects (ASGCA), i campi sono costantemente minacciati dalle inondazioni e in aree come quelle di Miami anche dall’erosione costiera dove alcuni impianti “fra 10 anni diventeranno una palude” ha detto Jason Straka, il presidente dell’associazione, alla Cnn. In zone come l’Ohio e Utah le ondate di calore e la carenza d’acqua, unite alla crescita di piante infestanti che resistono al caldo, hanno costretto alcuni club alla chiusura. Idem in California, dove gli incendi – come quelli della zona di Oroville – hanno bruciato parte dei terreni, lambendo le buche. Dall’altra parte del mondo, in Australia, il golf soffre degli stessi problemi: allagamenti hanno inondato i country club vicino Sydney e diverse strutture hanno dovuto rinunciare alle proprie riserve d’acqua per destinarle a combattere gli incendi boschivi che soffocano varie zone del Paese. In Scozia, l’innalzamento dei livelli del mare in meno di trent’anni rischia di far scomparire persino i famosi campi di St. Andrews.
Poco sostenibili
Nonostante diversi campi da golf nel mondo stiano tentando di migliorare la loro impronta ecologica, da strutture con stagni per favorire la biodiversità nelle zone umide sino a progetti di riforestazione, di serbatoi per l’acqua piovana o legati all’assorbimento di CO2, come quello islandese di Carbon Par che sta studiando l’impatto fra campi da golf ed emissioni climalteranti, per molti aspetti il golf è uno sport impattante sull’ambiente.
In primis c’è il problema che per mantenere il “green” e le grandi e curatissime distese di erba serve una gigantesca quantità di acqua: soltanto negli Stati Uniti si stima che al giorno servano 7,5 miliardi di litri d’acqua per la gestione di tutti i campi. In un giorno i 30 campi da golf di Salt Lake nello Utah per rimanere verdi hanno bisogno dell’acqua pari a quella di 13 piscine olimpioniche.
Inoltre, in diversi casi, i campi da golf vengono considerate aree che minacciano o modificano gli ecosistemi, dato che per realizzarli spesso sono stati mutati ettari di suolo oppure vengono utilizzati i pesticidi per mantenere le qualità dell’erba.
Parchi solari
Un insieme di fattori, dagli effetti del surriscaldamento sino alla nuova onda verde della sostenibilità, dalla pandemia e il calo di giocatori (sette milioni in meno in quindici anni) sino alle difficoltà economiche di gestione, hanno portato sempre più campi alla chiusura. La National Golf Foundation ha segnalato recentemente per esempio la chiusura di almeno 60 campi da 18 buche. Sebbene sia un danno per gli appassionati e gli sportivi, questa condizione ha però trasformato la crisi in opportunità: trasformare le grandi distese dei campi da golf in parchi solari.
A New York, due anni fa, un vecchio campo è stato convertito in fattoria solare che oggi garantisce elettricità a circa mille case di Long Island. Stessa cosa nel Missouri al campo di Rockwood, oppure a Cape Cod in Massachusetts dove sono stati piazzati centinaia di pannelli sfruttando gli spazi degli ex campi. Una pratica che in Giappone va avanti da tempo, dopo che negli anni Ottanta furono costruiti decine di percorsi da golf poi andati in disuso nel tempo. Qui c’è persino un piano nazionale che mira all’implemento del fotovoltaico nei vecchi snodi golfistici, per esempio di recente a Kagoshima è stato installato un impianto di 100 MW, oppure nella zona di Kamigori i pannelli di aree da golf dismesse oggi forniscono energia a quasi trentamila famiglie.
Uno dei motivi per cui i vecchi campi sono ottimali per il solare è che solitamente presentano terreni già pronti: livellati, con ampi spazi dove “piantare” i pannelli e sistemi già corredati di canali di scolo e altre attenzioni.
In altri impianti, si sta invece tentando la strada della coesistenza: mantenere i campi, ma con una attenzione specifica sulle energie rinnovabili. Per esempio la finlandese Hirsala Golf punta all’uso di robot tagliaerba ad elettricità alimentati da fonti rinnovabili, per evitare il dispendio di combustibili fossili, oppure per alimentare il suo centro il Golf de Payerne in Svizzera usa già pannelli che permettono il risparmio di 1.000 tonnellate di CO2.
Con le previsioni nere degli scienziati sul destino climatico della Terra, il golf – come altri sport – è dunque costretto a ripensare al suo futuro. Anche i suoi protagonisti – da Tiger Woods che ha parlato di rendere lo sport più sostenibile e della possibilità in futuro di giocare su campi più secchi sino a Rory McIlroy che ha annunciato di voler compensare la sua impronta di carbonio per i tanti spostamenti aerei – lanciano un appello in tal senso, per un golf che diventi davvero “più green”.