Creare posti di lavoro e combattere la crisi climatica. Non è un’utopia, anzi. Rimettere in moto l’economia messa a dura prova dalla pandemia di Covid, che ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, e porre un freno a emissioni e riscaldamento globale è possibile. A patto che i governi, Italia compresa, invertano la rotta e puntino sempre più sui settori sostenibili.

 

Secondo un’analisi di World Resources Institute, International Trade Union Confederation e New Climate Economy si assumono più persone investendo un milione di dollari (circa 850mila euro) in energia rinnovabile, trasporto pubblico e veicoli elettrici rispetto a utilizzare la stessa cifra per combustibili fossili, strade o mezzi con motore diesel o benzina.

A parità di investimento, meglio implementare i mezzi pubblici che costruire strade nuove, dando lavoro al 40% di persone in più. Ogni due assunzioni legate alla produzione di petrolio e gas, il fotovoltaico ne permette tre (+50%). Il tasso di occupazione sale del 180% se gli investimenti sono mirati a migliorare l’efficienza degli edifici e arriva al 270% per il ripristino dell’ecosistema, cioè 37 nuovi lavoratori rispetto ai 10 che verrebbero assunti nel settore non sostenibile dei combustibili fossili.

Tenendo a mente questi calcoli, l’Italia potrebbe dare un incremento significativo alla propria economia se reindirizzasse parte della sua spesa pubblica, ancora troppo a scapito del Pianeta. Secondo gli ultimi dati aggiornati del ministero dell’Ambiente nel 2018 sono stati spesi 19,7 miliardi in sussidi ambientalmente dannosi (Sad), che comprendono anche incentivi, agevolazioni, finanziamenti agevolati ed esenzioni. Di questi 17,7 miliardi sono utilizzati per le fonti fossili. Altri 8,6 miliardi sono poi classificati come incerti, per un totale che supera i 28 miliardi. Quasi il doppio dei sussidi ambientalmente favorevoli (Saf), pari a 15,3 miliardi di euro. Il Ministero ha anche istituito una Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei Sad, ma dal 2019 a oggi ha prodotto solo delle idee e ancora nulla di concreto. 

Anzi, nel 2020, come denuncia Legambiente nel report Stop sussidi ambientalmente dannosi, il costo dei Sad in Italia è salito a 34,6 miliardi di euro di cui 18,3 potrebbero essere eliminati già entro il 2025 cancellando il budget per le trivellazioni, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio, ma anche le agevolazioni fiscali per le auto aziendali, il diverso trattamento fiscale tra benzina gasolio, gpl e metano, il capacity market (quella serie di misure volte a garantire la sicurezza del sistema e l’approvvigionamento di energia elettrica, con risorse sempre disponibili) per le centrali a gas e l’accesso al superbonus per le caldaie a gas.

I 18,3 miliardi così risparmiati potrebbero essere investiti nei settori verdi. “Perché – afferma Joel Jaeger, autore principale del documento stilato dal World Resources Institute – per ottenere uno stimolo economico, gli investimenti verdi sono un’opzione migliore. Continuare a incanalare denaro verso infrastrutture insostenibili piuttosto che infrastrutture verdi non ha senso per il clima, ma non ha nemmeno senso per i lavoratori. Qui c’è un’opportunità vincente”.

Ovviamente bisogna tenere in considerazione anche la qualità dei lavori creati nei settori amici dell’ambiente. Nei Paesi in via di sviluppo troppo spesso sono ancora temporanei e informali, cioè senza diritti e tutele per i lavoratori. In quelli sviluppati salari e benefici sono più bassi di quelli che si possono ottenere lavorando nei settori tradizionali. Qui entra in gioco l’azione governativa: per garantire che ci sia più occupazione “verde” dovrebbe attuare delle politiche per prevedere salari e benefici equi, sicurezza sul lavoro, opportunità di formazione e avanzamento, diritto all’organizzazione e accessibilità a tutti.