“Entro l’anno il governo ha annunciato che approverà il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici? Non ha però specificato di quale anno”. Parole chiare quelle di Sergio Costa, ex ministro all’Ambiente in entrambi i governi presieduti da Giuseppe Conte e attuale vice presidente alla Camera dei Deputati sempre per il Movimento Cinque Stelle. Secondo l’ex generale dell’Arma dei carabinieri, quel Piano che porta anche la sua firma, era già pronto già nel 2018, ma passando da un governo all’altro senza essere approvato “ormai è sorpassato” sostiene senza mezzi termini.
“Sono passati cinque anni e così com’è, non è più utilizzabile. Va rivisto e agganciato alla nuova normativa europea, al Pnrr e al nuovo Piano nazionale per l’energia. Per i temi che affronta, ossia il clima, l’ambiente, le azioni di adattamento sui territori è come se fosse più vecchio di cinquanta anni”. Costa quel dossier lo conosce bene visto che lo aveva ricevuto in eredità dall’ex ministro Gian Luca Galletti e lo aveva integrato al Piano nazionale per l’Energia e il Clima, prima di cederlo a Roberto Cingolani. Sa cosa c’è da cambiare e l’iter che l’ha portato fino a quello che è oggi: uno strumento normativo non più utilizzabile, ma a cui hanno lavorato un centinaio di scienziati e ricercatori dell’Ispra e del Centro Euro Mediterraneo dei Cambiamenti climatici.
Quanto tempo servirebbe allora per aggiornare quel Piano?
“Lavorando sodo da adesso, un anno di tempo. Perché se da una parte è vero quello che dicono i ricercatori che alcuni capitoli che riguardano soprattutto le analisi sulle macro-regioni possono essere recuperati, tutto il contesto è da considerare archeologia”.
Ad esempio?
“Nel 2018, ma anche nel 2019 quando l’ho preso in carico, non c’era la crisi energetica di adesso e nemmeno gli obiettivi posti dal Green Deal europeo in materia di clima, trasporti, energia, ma anche fiscalità, economia circolare, rinnovabili. È davvero un mondo nuovo. Mi domando, come si può fare un Piano che è uno strumento non solo scientifico, ma robusto anche dal punto di vista amministrativo e politico, entro la fine dell’anno?”
C’è una via d’uscita secondo lei perché il governo riesca a mantenere la promessa? La tragedia di Ischia ha mostrato al mondo quanto siamo in ritardo su questi temi.
“Se vogliono mantenere la parola, l’unica strada è varare un Dpcm, un decreto emanato direttamente dal Presidente del Consiglio dei ministri. Con la pandemia abbiamo imparato a conoscere questo strumento normativo che è immediatamente efficace dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Un atto amministrativo interministeriale perché i ministeri coinvolti nella questione ‘climà sono diversi, da quello dell’Ambiente ai Trasporti, dalle Finanze all’Agricoltura. Potrebbe essere un Dpcm programmatico che dà intanto una visione di lungo periodo a cui poi far seguire gli atti applicativi”.
Altrimenti?
“Altrimenti, per fare veloce ma certo non in un mese, secondo il mio parere è di approvare velocemente il nuovo Piano dell’energia, tema su cui sono già chiari gli obiettivi e gli orizzonti dettati dall’Europa. A questo, aggancerei il Piano sul clima rivisto intanto dagli scienziati dell’Ispra e del Cmcc. Ma ripeto, lavorando sodo, arriviamo alla fine del 2023”.
Perché è così importante quel documento?
“Perché non si tratta di un semplice atto amministrativo, ma di uno strumento concreto su base scientifica che indica a tutti, enti locali, ricercatori, politici, industriali e cittadini, come affrontare il futuro davanti ai cambiamenti climatici in Italia. Spiega qual è la visione, il sentiero e gli obiettivi. Si costruisce con il contributo di molti attori e va portato a Bruxelles. Ogni due-tre anni va rivisto, ma resta operativo”.
Al ministro Gilberto Piccheto Fratin ha chiesto l’adozione della Legge sulla difesa del suolo. Anche quella nel cassetto da anni?
“Da oltre venti. Quanto accaduto a Ischia mostra che l’Italia non può stare più senza una legge sulla difesa del suolo. Non siamo mai riusciti a metterci d’accordo, perché si discute da anni solo di questioni tecnico-burocratiche, tipo quale ente è competente a riscuotere gli oneri di urbanizzazione e come vengono gestiti oppure c’è la divisione tra cui vuole costruire e chi invece vuole rigenerare. Ho proposto al ministro che, nonostante ci siano visioni diverse, facciamo un patto di legislatura, formiamo un tavolo interministeriale mettendo insieme esponenti della maggioranza e dell’opposizione con spirito costruttivo. Ischia deve essere lo spartiacque, su questi temi non ci si può dividere ancora. Non possiamo più permetterci in Italia di cementificare 2,2 metri quadrati al secondo. È questo il ritmo dell’edilizia. Dobbiamo rigenerare i territori, i centri storici, non cementificare ancora. Non deve esserci più un’altra Casamicciola”.