Non c’è solo il Po, anche il Piave e il Tagliamento stanno evaporando e lasciano al loro posto pallidi banchi di sabbia, terra e fango riarsi. In alcuni tratti, nei letti spogli, restano solo i solchi, impronte a memoria di dove scorreva l’acqua. Tutto il Nord Italia schiacciato da Caronte soffre la sete. Le immagini da satellite danno con un colpo d’occhio l’idea della situazione. Soprattutto nel confronto con l’anno scorso o due anni fa.
Il Po nei pressi di Piacenza
Le immagini del Po in secca di giugno 2022, confrontate con i due anni precedenti, hanno fatto il giro del mondo. Le hanno scattate i satelliti Sentinel 2 dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che fanno parte della costellazione Copernicus della Commissione europea. Mostrano il letto del fiume più lungo d’Italia sfilacciato in rivoli sempre più sottili dentro al grande invaso.
La mappa compilata dall‘Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr d’altronde è molto chiara, la siccità che ha colpito nel 2022 è la peggiore degli ultimi 16 anni. In alcune zone non ha piovuto per oltre tre mesi. Le condizioni peggiori, secondo l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) sono quelle del Nordovest e del Friuli. Situazione critica anche al centro, interessate per la maggior parte la Toscana, parte dell’Umbria e del Lazio. Ma quella che spicca è la fascia evidenziata con un rosso sempre più intenso, fino al marrone, che corre lungo tutta la valle del Po, dalla pianura in Piemonte fino al delta sull’Adriatico.
A nordest fino a -400 mm di pioggia
“Il dato riguarda, per il mese di giugno, la quantità di acqua contenuta nei primi 20 centimetri di suolo, il più rappresentativo per l’agricoltura, ci dà l’idea di quanta acqua è contenuta nel terreno – spiega Luca Brocca, direttore della Ricerca all’Irpi – si tratta di osservazioni Eumetsat, l’ente europeo che gestisce i satelliti meteo, dati liberamente disponibili e utilizzabili”. I satelliti utilizzano microonde attive che rimbalzano sul suolo, misurando l’intensità del segnale di risposta che dipende dall’umidità.
Po, da grande fiume a deserto: le impressionanti conseguenze della siccità tra Mantova e Ferrara
L’Irpi compila per ogni anno idrologico, che va da settembre ad agosto, un report su quanto ha piovuto. E finora le misurazioni confermano l’andamento: “Il deficit più grande riguarda Veneto e Friuli, perché siamo abituati ad avere molta più pioggia: in 10 mesi c’è un deficit di -400 millimetri. A nordovest un po’ meno, il deficit riguarda soprattutto pianura padana, ma siamo comunque attorno a -200 millimetri”. Nei prossimi giorni è prevista pioggia ma la siccità non è finita, ammonisce: “Le previsioni stagionali, che ormai hanno un certo grado di affidabilità, dicono che il mese di luglio sarà sotto la media. E se anche fosse nella media, non basterebbe, della siccità si parlerà a lungo. Dovremo imparare a gestirla“.
I fiumi spariscono
Zoomando sulle foto satellitari prese dalla coppia Sentinel 2, si intravedono proprio alcune zone critiche nel corso del Po. Oltre a Piacenza, un altro punto in cui il flusso si è ridotto ai minimi è nella zona di Ferrara, a Pontelagoscuro.
Il Po vicino a Ferrara
“Quelle che vediamo sono immagini in luce visibile, così come le vedrebbe il nostro occhio – dice Benjamin Koetz, capo del Sustainable initiatives office dell’Agenzia spaziale europea – ma i Sentinel vedono 12 bande differenti, anche luce non visibile all’occhio umano. Possono vedere dove ci sono state meno precipitazioni perché monitorano la vegetazione, la produzione agricola e lo stato dei raccolti, riconoscono quando sono secchi e non produttivi. È evidente che l’agricoltura sta soffrendo. Quando processeremo i dati potremo dire con più certezza e con una risoluzione di 10 metri, anche sul singolo campo”.
Siccità, in Piemonte fiumi e torrenti in secca. E nel Po mancano due terzi d’acqua
Oltre al Po, proprio in Veneto e Friuli Venezia-Giulia due dei principali corsi d’acqua faticano sempre più a scorrere. Sono il Tagliamento e il Piave. Il loro letto è sempre più bianco. Quest’anno è mancato anche il contributo della neve alpina, molto importante per le riserve.
Il Piave nei pressi di Moriago della Battaglia
“È stata la neve più drammatica dal 2002 – osserva Brocca – il minimo di neve è arrivato 40 giorni prima, stessa cosa per la copertura nevosa e l’indice di densità che ci dice l’equivalente di neve in acqua, l’accumulo durante l’anno è sempre stato al minimo. Per far fronte alla siccità ci sono i grandi invasi, ma gli invasi ricevono acqua dalle riserve di neve, che non c’è stata. Le precipitazioni che ci sono e ci saranno sulle Alpi permetteranno solo di respirare un pochino”.
Il Tagliamento nei pressi di Codroipo
Sono immagini dello stato di fatto che fotografano una situazione alla quale ormai è difficile porre rimedio se non cercando di mitigare l’effetto dei cambiamenti climatici: eventi sempre più estremi, dalle tempeste alle piogge torrenziali, dalle ondate di calore nelle città ai periodi prolungati di siccità. Sentinel 3 è un’altra sonda della costellazione Copernicus che misura proprio la temperatura del suolo (non dell’aria).
“Sentinel 3 ha una risoluzione al suolo di 1 chilometro, non abbastanza da poter vedere i quartieri di una città, ma grazie all’intelligenza artificiale possiamo incrociare le osservazioni con quelle di Sentinel 2 e arrivare a un dettaglio molto maggiore” evidenzia Koetz, che è anche project scientist della missione Copernicus Lstm (Land surface temperature monitoring), un futuro satellite che arriverà a osservare con una risoluzione di 50 metri la temperatura del suolo. Koetz anticipa a Green&Blue un’immagine “per mostrarvi il futuro di questo tipo di osservazioni. Me l’hanno inviata poco fa dal Jpl della Nasa, fatta dallo strumento Ecostress, installato a bordo della Stazione spaziale internazionale”.
È una mappa di Milano, colorata in base al calore registrato al suolo, il 18 giugno. In alcuni quartieri le strade e i tetti dei palazzi arrivano a misurare 48 gradi centigradi. Nelle zone più verdi invece la colonnina di mercurio scende di oltre 10 gradi. Lstm dell’Esa farà proprio questo, a partire dal 2029: “Questo tipo di dati permettono a chi governa le città di identificare i quartieri regioni più caldi e inviare allarmi preventivi alla popolazione – conclude Koetz – Ma sono anche informazioni utili per la pianificazione urbana. Di recente a Los Angeles hanno usato immagini satellitari termiche ad alta risoluzione per guardare quali strade si scaldavano di più. In base a quelle hanno consigliato gli urbanisti che hanno fatto dipingere le strade di bianco, per riflettere calore, così hanno abbassato la temperatura di due o tre gradi”.
Il Tagliamento poco più a nord