È un allarme di cui tutti abbiamo letto negli ultimi giorni: nel delta del Po, complice anche il suo basso livello dovuto alla siccità degli ultimi mesi, l’acqua di mare sta “risalendo” il fiume. In realtà, già l’innalzamento del livello del mare e i forti emungimenti di acqua degli ultimi decenni – che hanno abbassato il terreno – stavano facendo entrare il cosiddetto “cuneo salino” nell’interno. Come si vede in figura, in questa situazione l’acqua di mare può raggiungere i pozzi, che quindi vanno a “pescare” acqua salata dalle falde. E, come noto, con questa acqua non possiamo né dissetarci né irrigare i campi. Ora la situazione si sta aggravando e potrebbe portare alla salinizzazione di parecchie falde di acqua dolce.

 

Ciò che stiamo accusando in questo momento è un semestre invernale-primaverile estremamente siccitoso, con poche precipitazioni piovose e nevose, e con un aumento della quota neve che fa diminuire lo stoccaggio di risorse idriche fruibili nei mesi più caldi: se, per esempio, la neve oggi cade mediamente 200 metri più in alto di un tempo, quei 200 metri di pioggia ce li perdiamo quasi subito in mare; se fossero di neve, li sfrutteremmo piano piano. Si potrebbe pensare che sia un anno “sfortunato”, ma in realtà gli anni di questo tipo si stanno susseguendo con una frequenza molto aumentata negli ultimi 10-15 anni.

In queste condizioni di siccità molti reclamano giustamente una migliore gestione delle risorse idriche, evitando gli sprechi, ma anche costruendo nuovi invasi dove trattenere la poca acqua che scende dalle montagne per i nostri usi, in primis le attività agricole. Solo che il sistema monti-fiume-mare è estremamente interconnesso e fare molti ampi invasi dove stoccare la poca acqua disponibile potrà far scendere ulteriormente il livello del Po e incrementare l’intrusione del cuneo salino. Insomma, la coperta è corta: adattarsi per contrastare la siccità fa aggravare il problema della salinizzazione delle falde alla foce del Po.

Siccità: il Po mai così in secca da 70 anni

L’adattamento ha dei limiti: ce lo mostra anche il recente report del working group 2 dell’Ipcc. Il vero problema, a mio parere, è di conoscenza e consapevolezza. Con le nostre emissioni di gas serra e con la deforestazione abbiamo innescato delle risposte da parte della natura, risposte che a noi appaiono tutto sommato lente. Cosa sarai mai un grado in più di temperatura a livello globale negli ultimi cento anni? Il fatto è che non ci rendiamo conto che la dinamica della natura è forse lenta, ma talvolta può divenire inesorabile. Un chiaro esempio di questo è la fusione dei ghiacciai alpini.

I nostri ghiacciai stanno arretrando sempre più, ma il vero problema è che oggi non sono in equilibrio con la temperatura attuale, perché stanno ancora rispondendo lentamente al riscaldamento degli ultimi decenni. Così, i modelli fanno vedere chiaramente che se anche la temperatura rimanesse quella attuale, i nostri ghiacciai perderebbero comunque ancora il 30% circa della loro superficie e del loro volume da oggi a fine secolo. Ma attenzione: se la temperatura aumentasse seguendo lo scenario business as usual (BAU), al 2100 ci rimarrebbe solo il 5% della loro superficie e del loro volume attuali.

In questa situazione, è chiaro che una certa riduzione di ghiacciai la vedremo comunque e a questa situazione dobbiamo adattarci, ma se non riuscissimo a mitigare il riscaldamento globale, alla situazione finale dello scenario BAU non potremmo più adattarci in alcun modo.

Insomma, abbiamo innescato un cambiamento climatico e alcuni danni già evidenti oggi ce li terremo anche in futuro; a questa condizione inevitabile dobbiamo adattarci. Ma dobbiamo evitare di arrivare a condizioni ingestibili, dunque dobbiamo mitigare e diminuire la nostra impronta carbonica. E dobbiamo farlo al più presto, perché anche l’intero sistema clima, come i nostri ghiacciai, ha un’inerzia, dovuta al grande tempo di permanenza in atmosfera dell’anidride carbonica e al calore intrappolato negli oceani. Per evitare i peggiori impatti climatici dobbiamo mitigare da ora per vedere i risultati tra qualche decennio. Aspettare di vedere gli impatti peggiori sarebbe troppo tardi.

Il Po in questi giorni ci sta dando una chiara lezione: con le poche risorse idriche che scenderanno in futuro dalle Alpi e le siccità sempre più frequenti anche l’adattamento ha dei limiti. Bisogna mitigare, e farlo subito.

(*Antonello Pasini è fisico del clima, presso il CNR)