È l’idrogeno del futuro, quello nato dai gas naturali scomposti in maniera che il loro impatto sull’ambiente sia nullo. Privo di emissioni, creato partendo da metano che viene reso così del tutto innocuo. Ci sta lavorando all’estero il gruppo di ricerca guidato dal premio Nobel Carlo Rubbia in Germania, ad esempio, e ci stanno lavorando anche qui in Italia al Politecnico di Milano. “La tecnica di pirolisi e ha già dimostrato di funzionare”, racconta Carlo Mapelli, professore del Dipartimento di Meccanica dell’ateneo lombardo, dove insegna Siderurgia ed impianti siderurgici e Metallurgia e materiali non metallici. “Permette di scindere il carbonio e l’idrogeno che sono contenuti nei gas naturali senza produrre l’emissione monossido di carbonio”.
Avete già degli impianti in funzione?
“Abbiamo macchine di prova costruite internamente. Il processo è noto che funziona, nella pirolisi quindi non c’è nulla di innovativo. Il problema sta nel fatto che è un processo estremamente lento e quindi bisogna lavorare sull’incremento della cinetica nella scissione del carbonio e dell’idrogeno”.
Cosa vuol dire “lento”?
“Perché possa avvenire ad una efficienza circa del 55 o 60% è necessario attivare termicamente il processo fino a 1.200 gradi. Quindi c’è un problema legato al consumo energetico se si vogliono ottenere produttività compatibili con l’industria per fornirle idrogeno in quantità sufficiente”.
Ecco. Restiamo sul tema dell’energia necessaria.
“Per quanto riguarda i dati termodinamici è inferiore di almeno 7 o 8 volte rispetto a quella necessaria per scindere l’idrogeno dall’ossigeno con gli elettrolizzatori ad acqua. Quindi per la produzione, dal punto di vista del consumo energetico, è sicuramente una strada percorribile. Il problema, come dicevo prima, è di produttività del processo e di gestione di questo gas. A differenza di un liquido, scindere le molecole del gas naturale è di per sé più complicato industrialmente”.
Quanto siete distanti da una reale applicazione pratica?
“Difficile fare una previsione esatta. Oggi il processo è consolidato in laboratorio. Secondo la classificazione della Nasa, ovvero il Technology readiness level (Trl), che si può tradurre con Livello di maturità tecnologica, siamo fra il livello 4 e 5 sui 9 totali dove l’ultimo riguarda sistemi completi che sono in opera. In questo caso quindi parliamo di tecnologie che dai laboratori stanno per essere convalidate anche in ambiente industriale”.
Siete i soli che ci stanno lavorando?
“Su questo processo nello specifico ci sono già diverse esperienze tecnologiche. C’è una tecnica che è sviluppata in Germania dal gruppo di ricerca del professor Rubbia legata al gorgogliamento del gas all’interno del metallo liquido. Esiste poi un altro filone portato avanti da Basf a Leverkusen che usa come catalizzatore il carbone. Infine c’è una sperimentazione in Australia che sfrutta il ferro. Si tratta di esperienze che sono allo stesso livello di maturità per formare da un lato carbonio solido e dall’altro idrogeno senza emissioni“.
In quale misura queste tecnologie potranno contribuire ad arrestare il riscaldamento globale?
“Malgrado questi sforzi tecnologici, non si potrà fare a meno di puntare anche e soprattutto al sequestro e allo stoccaggio in profondità dell’anidride carbonica. Aldilà dell’idrogeno verde, se in tempi brevi si vuole arrivare alla neutralità carbonica, non è possibile non pensare al sequestro e stoccaggio della CO2 nei depositi esausti del gas naturale. Per ragioni legate all’assenza di maturità tecnologica di certe nuove soluzioni o di carattere economico. In pratica, tutte le alternative presenti rispetto allo stoccaggio non sono competitive e alcune hanno comunque un impatto ambientale. Va quindi creato un quadro legislativo che oggi è assente riguardo lo stoccaggio. È un passo essenziale perché il sequestro unito all’uso di bio-metano e bio-carbone potrebbe portare a un bilancio in negativo e non più solo alla neutralità. Insomma, oltre ad annullare le emissioni bisogna di ripulire l’atmosfera. Ma per ora le biomasse non sono sufficienti per una conversione industriale, non abbiamo abbastanza materia prima per farlo. E allora, se si prosegue con i combustibili fossili, bisogna intanto puntare al sequestro e migrare dal carbone al gas naturale che è il 60% meno impattante”.
Gli impianti per il sequestro e stoccaggio della CO2 hanno però costi elevati.
“Dipende da come è organizzata la filiera logistica. Quanto sono distanti ad esempio i depositi dai siti di raccolta della CO2. Noi in Italia, come in Inghilterra, abbiamo la fortuna di avere diversi depositi esausti marini che possono essere raggiunti facilmente, specie quelli nell’alto adriatico. Ma come dicevo manca il quadro legislativo per farlo”.