“Per troppo tempo, la desertificazione e la siccità sono state considerate un problema specifico dei Paesi del Sud. Eppure questi fenomeni si stanno diffondendo in tutto il mondo e riguardano tutti noi”. Alain Richard Donwahi, presidente della 15a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (COP15, che si è tenuta nel maggio 2022 in Costa d’Avorio ) sottolinea più volte nel corso dell’incontro con i media in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità che non c’è tempo da perdere e che nessun Paese può ritenersi escluso dai rischi di un suolo sempre più impoverito e sempre più arido.

 

“Quest’anno è stato segnato da troppi avvenimenti che ci ricordano l’urgente necessità di agire – afferma – La COP16, in programma il prossimo dicembre in Arabia Saudita, deve essere l’occasione per organizzarci per lottare insieme contro la desertificazione e le sue conseguenze. Il degrado del terreno nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche derivante da vari fattori, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane e la siccità sono in aumento e colpiscono quasi tutte le aree geografiche“. Donwahi illustra i numeri da cui partire per mettere in campo soluzioni urgenti per combattere quella che definisce “una delle questioni ambientali più importanti del nostro tempo”. “Sono 168 i Paesi colpiti da desertificazione o siccità – elenca il presidente di COP15 – Dal 20 al 40% del volume totale di terreni si è degradato con il 40% della popolazione mondiale che vive in terre degradate. La siccità è il 2° disastro naturale che colpisce il maggior numero di persone (dopo le inondazioni) e un terzo della popolazione mondiale è già alle prese con lo stress idrico. Tra il 1900 e il 2019, 11,7 milioni di decessi sono stati causati dalla siccità e il 10% del Pil attuale nel mondo viene perso ogni anno a causa della desertificazione”.

Se lo sguardo al passato e allo stato attuale fa paura, le previsioni sono ancor più spaventose. “Le inondazioni sono state il 29% in più dal 2000, con 12 milioni di ettari produttivi degradati in più ogni anno – continua Donwahi – si prevede che 190 Paesi saranno colpiti dalla siccità nei prossimi decenni e più di tre quarti della popolazione mondiale saranno colpiti dalla desertificazione entro il 2050. Entro il 2100 le perdite agricole ed economiche dovute a desertificazione e siccità saranno quituplicate e fino al 70% della popolazione mondiale vivrà in aree con scarsità d’acqua entro il 2050″.

Così come accade in generale per  la crisi climatica, desertificazione e siccità non colpiranno tutta la popolazione mondiale in eguale misura e saranno strati della società più deboli a subire le conseguenze peggiori. “Questi fenomeni indeboliscono le popolazioni più vulnerabili – dice il presidente di COP15 – Il 72% delle donne e il 9% delle bambine sono responsabili della raccolta dell’acqua nelle zone aride e le donne rappresentano il 50% dei lavoratori agricoli nei Paesi in via di sviluppo. Producono dal 60 all’80% del cibo coltivato in queste regioni eppure meno di un quinto della terra appartiene a loro”. L’ultimo dato fornito è il più impressionante: “Oltre 200 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare entro il 2050 a causa di siccità, scarsità d’acqua e calo della produttività delle colture”.

Quasi a conclusione del suo mandato Donwahi illustra poi quanto fatto e quanto dovrà essere implementato. “Molte iniziative stanno emergendo a livello internazionale, regionale, nazionale e locale – dice – per proteggere il territorio attraverso una migliore gestione e pratiche più sostenibili, per ripristinare le aree degradate per evitare la desertificazione e per combattere il cambiamento climatico e l’aumento delle temperature, evitando così che le conseguenze di siccità e desertificazione peggiorino ulteriormente”. Il presidente sottolinea soprattutto il progetto del “Green wall” africano, una “grande muraglia verde nell’Africa sub-sahariana per la creazione di 153 milioni di ettari di foresta che vanno dal Senegal alla Somalia e il progetto per piantare 50 milioni di alberi e ripristinare 200milioni di terreni degradati in Medio Oriente.

Donwahi sottolinea però che per il primo progetto non sono arrivati tutti i finanziamenti promessi, anche perché se finanziamenti ci sono stati non erano dedicati in maniera specifica al Green Wall africano, e che mancano dati per verificare se gli alberi piantati stiano crescendo e a che punto sia la realizzazione del piano. “Intendiamo mettere un atto un indicatoire per misurare i progetti e lavorare meglio, ma è vero che alcuni aree dove si era avviata la riforestazione sono state distrutte”, ammette. L’ambizioso progetto, va rimarcato, coinvolge 22 Paesi africani nei quali il livello di trasparenza e le situazioni sociali differiscono grandemente.

Per passare il testimone all’Arabia Saudita, Donwahi conclude elencando quali sono a suo parere le priorità. ” A livello internazionale, la COP16 sulla  desertificazione, prevista per dicembre, dovrebbe riconoscere la necessità di una valutazione delle condizioni del suolo. Questa valutazione aiuterà a definire una metodologia armonizzata, a stabilire un’ambizione comune e a determinare il ruolo che ogni partecipante può svolgere. Proprio come nel caso della lotta al cambio climatico e alla perdita di biodiversità, un approccio olistico è essenziale. Dobbiamo creare maggiori sinergie tra le tre COP e rafforzare la solidarietà internazionale. I Paesi ricchi dovrebbero sostenere quelli con meno risorse, e i territori meno colpiti possono impegnarsi ad aiutare le regioni più colpite”.

Il presidente di COP15 punta poi sul coinvolgimento di aziende e privati: “Per le aziende valutare l’impatto delle proprie attività sui terreni è fondamentale. In questo modo, possono identificare misure per mitigare o compensare questo impatto. Fondamentale è provvedere poi perché le aziende contribuiscano alla rivitalizzazione delle zone aride o alla riforestazione dei terreni deforestati“. Infine, le iniziative a livello locale e individuale: “Tutti possono agire – conclude Donwahi – cambiando e adattando le proprie abitudini, usando il potere d’acquisto per sostenere aziende responsabili e penalizzare quelle recalcitranti, incoraggiando i propri rappresentanti politici a fare di più e partecipando in progetti locali per proteggere e utilizzare responsabilmente il territorio. Ogni passo è importante. tutti dobbiamo agire, subito”.