Lo spargimento dei fanghi di depurazione nei campi agricoli, sopratutto del Nord Italia, è un problema sempre più imminente. Si tratta di fanghi derivanti dalla depurazione delle fogne che possono essere utilizzati come concime in agricoltura solo dopo trattamenti bio-chimici di decontaminazione. Sui fanghi esiste infatti una normativa stringente che impone dei limiti precisi, che spesso però non vengono rispettanti.
I fanghi sono da tempo utilizzati come fertilizzanti in quanto contengono sostanze organiche e minerali come azoto, fosforo e potassio. Il riutilizzo agronomico è una valida soluzione al problema dello smaltimento ed è interessante per l’efficacia agronomica ed economica, in quanto sostituisce quasi completamente la concimazione chimica o altri tipi di concimazione organica.
Tuttavia l’utilizzo dei fanghi di depurazione come fertilizzanti presenta alcune criticità riconducibili alla possibile presenza di composti organici nocivi. “Nei fanghi si possono trovare inquinanti organici persistenti, interferenti endocrini, metalli pesanti o sostanze farmaceutiche”, spiega Alberto Zolezzi, medico, parlamentare del M5s e componente della commissione Ambiente. “Lo spandimento dei fanghi in agricoltura è quindi associato a problematiche di inquinamento dei suoli, delle falde acquifere e potenzialmente delle colture per consumo animale e umano“.
La posta in gioco è alta: se la pratica dello spandimento, senza previa decontaminazione, non viene interrotto, molti “terreni agricoli rischiano di dover essere sottoposti a bonifica”, continua il parlamentare.
A poco e nulla è servita la denuncia da parte degli abitanti dei comuni nelle province di Pavia e Lodi che nel 2018 hanno ottenuto dal Tar Lombardia una sentenza che ha vietato lo spandimento dei fanghi in agricoltura,visto che a regolare il settore è il decreto “Genova”. Il cui art. 41 chiarisce che per l’uso dei fanghi in agricoltura continuano a valere i limiti stabiliti con la normativa dei primi anni Novanta, integrata da un nuovo parametro, relativo alla concentrazione di idrocarburi.
“Si tratta tuttavia di una soluzione temporanea, perché l’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione richiede l’individuazione di strategie di lungo termine per una gestione sostenibile dei fanghi, sia sotto il profilo sanitario-ambientale sia economico” spiegano dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (Irccs).
Nel frattempo, aziende e privati hanno trovato una soluzione per aggirare la stretta (anche se pressoché inesistente) attuata sui fanghi, facendo ricorso ai gessi di defecazione. Questi ultimi sono il prodotto del processo di trasformazione dei fanghi stessi. Secondo la legge, i gessi possono circolare liberamente sul territorio ed essere utilizzati come fertilizzanti.
Il procedimento prevede l’estrazione di metalli pesanti e l’idrolisi alcalina, per ottenere un correttivo chimico-biologico che, a differenza dei fanghi, esce dal ciclo dei rifiuti e può essere sparso al suolo. In altre parole, l’obbligo di dosare idrocarburi e altri contaminanti nei gessi prima di spanderli non è presente, ma soprattutto questi materiali perdono la loro tracciabilità, non si sa dove e quando vengono spansi ed è difficile fare i controlli. “In Emilia Romagna il 95% di fanghi viene trasformato in gessi e in Lombardia siamo attorno al 97%. Non essendo obbligati a tracciare i gessi, è difficile risalire poi a chi spande, dove, quando e quanto. La norma consente di non dire”, puntualizza l’onorevole.
Senza tracciabilità il rischio è quello di subire le procedure di infrazione dell’Ue, il ricorso a pratiche illegali e la continua migrazione dei fanghi. Stando agli ultimi dati del 2020 dell’Ispra, nel 2018 complessivamente l’attività di depurazione dei reflui urbani ha originato più di 3,1 milioni di tonnellate di fanghi, a cui vanno aggiunte le circa 800 mila tonnellate provenienti dal trattamento dei reflui industriali. La Lombardia è la regione con il maggior quantitativo prodotto, oltre 445mila tonnellate (14,2% sul totale nazionale), seguita subito dopo dall’Emilia Romagna con 387mila tonnellate (12,4%).
Per quanto riguarda la gestione, le tonnellate di fanghi derivate dal trattamento delle acque reflue urbane gestite nel 2018 sono state poco più di 2,9 milioni. Come modalità di gestione lo smaltimento in discarica (56,3% del gestito) prevale sul recupero (40%).
Le ultime ricerche ministeriali sottolineano poi che i possibili effetti tossici delle sostanze versate nei campi e per lisciviazione in falda, consistono in una riduzione della fertilità, interferenza con il sistema endocrino, disturbi della crescita, immunotossicità e cancerogenità. Oltre allo sgradevole odore che questi emanano, e la congiuntivite e i bruciori alla gola che i fumi dei miasmi provocano.
“La letteratura scientifica degli ultimi anni mostra inoltre come il trattamento dei fanghi, anche se eseguito, non elimina i geni di resistenza antibiotica. Il che vuol dire che dopo aver sparso i gessi possono riformarsi dei germi, caratterizzati oltretutto da resistenza antibiotica“, aggiunge Zolezzi.
La scorsa estate un’azienda della provincia di Brescia è stata accusata di aver sparso su terreni agricoli del Nord Italia 150mila tonnellate di fanghi contaminati da sostanze inquinanti, tra il 2018 e il 2019, spacciandoli per fertilizzanti. L’indagine a riguardo della Procura di Brescia e dei carabinieri forestali ha portato il 24 maggio al sequestro dei tre stabilimenti industriali della WTE, una società che si occupa di impianti per la gestione di rifiuti e produce sostanze per l’agricoltura. Ci sono 15 persone indagate, le accuse sono di traffico illecito di rifiuti, molestie olfattive, discarica abusiva e, nel caso di un dirigente pubblico, di traffico di influenze illecite.
Un caso che ha acceso i riflettori sul tema e portato novità in termini di normative. “Con l’approvazione definitiva alla Camera e al Senato del dl Semplificazioni, è legge anche l’emendamento che esclude dal novero dei correttivi calcici e magnesiaci (fertilizzanti disciplinati dal Decreto legislativo 75 del 2010) i gessi di defecazione (inteso in senso lato di fertilizzante derivante da materiali biologici, ndr), e i carbonati di calcio di defecazione ottenuti da fanghi di depurazione. Si tratta di due correttivi da fanghi su tre. Resta la possibilità di ottenere con fanghi di depurazione i gessi di defecazione da fanghi”, conclude Zolezzi.
Tecnicismi che possono fare la differenza: questo emendamento è un primo passo che consente in sostanza di tracciare buona parte dei fanghi di depurazione, di sapere dove e quando vengono sparsi e da quali rifiuti sono composti, monitorando lo stato dei suoli. E ponendo le basi per un testo unico in grado di placare le tensioni tra governo centrale e Regioni, su tutte la Lombardia. Continua infatti il braccio di ferro tra governo e Pirellone sulla stretta nei controlli dei fanghi: a ottobre il governo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro una nuova norma lombarda che equipara i gessi non a fertilizzanti ma a materiali derivanti da rifiuti. Ora il ministero della Transizione ecologica ha inviato i rilevi al Dipartimento degli Affari Regionali sulla seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2021. Minacciando un nuovo ricorso alla Consulta contro la nuova legge regionale.
Detto ciò, per Zolezzi i fanghi non vanno esclusi del tutto dal processo di economia circolare: “Vanno normati i gessi e normati in maniera più adeguata anche i fanghi. In Germania per esempio hanno dei metodi che prevedono di lasciare a compostare il fango per tre settimane/un mese. In questo modo il fango migliora, poi con un reattore chimico viene estratto del fosforo che può essere a sua volta utilizzato come fertilizzante”, conclude.