Ci sono ancora le crociere di una volta (quando non c’era lui, il Covid 19) quelle che andavi in giro per i mari del mondo e scendevi ad ogni porto e a bordo saltellavi tra buffet e piscine, scivoli e karaoke, beccheggiavi fra teatri e infiniti long drink, ti mettevi in posa con il comandante e alla serata di gala eri pronto a sfoggiare il tuo miglior vestito? Le riposte sono due. Eccole, in ordine alfabetico: no e sì.
La nave
Al porto di Civitavecchia ci attende un gigante, la Msc Grandiosa: è stata in assoluto la prima nave da crociera a riprendere il largo dopo la pandemia: proprio un anno fa, il 16 agosto 2020, Grandiosa è tornata ad accogliere i suoi viaggiatori, un po’ meno internazionali che in passato (salgono solo quelli dell’area Schengen), portandoli in giro per il Mediterraneo. Ci sono molte limitazioni rispetto alle crociere pre-Covid ma il passeggero ha consapevolezza di trovarsi in una sorta di bolla, dove il coronavirus viene tenuto molto alla larga. E riteniamo – pur non avendone la prova – che sulle altre navi in circolazione, anche di altre compagnie, vengano adottate le stesse misure di prevenzione.
Il check-in
Avevamo letto con attenzione sul biglietto arrivato nella nostra mail tutte le avvertenze, le note, le procedure redatte dall’armatore. Saranno così puntuali nell’applicazione delle regole stabilite oppure è solo un modo per accaparrarsi la benevolenza della clientela? Il primo impatto è con il check-in, l’ingresso sulla nave. Ricordavamo procedure snelle: l’esibizione del biglietto, i bagagli lasciati tranquillamente al personale, il drink di benvenuto, insomma un’accoglienza sbrigativa, veloce. Ora le cose sono cambiate. Intanto, appena scesi dal taxi nell’area dell’imbarco è obbligatorio indossare la mascherina. Subito dopo viene consegnato ad ogni passeggero una sorta di braccialetto elettronico – per fortuna lo fanno mettere al polso, non sulla caviglia – che registra, grazie a un sensore interno, tutti i nostri movimenti: non si sa mai, anche se stiamo per entrare in una bolla, il coronavirus può salire a bordo (ma deve fare tanta fatica per entrare) e allora la compagnia (come doveva fare la defunta app Immuni) può avvertirci, quando torneremo a casa, se siamo entrati in contatto con persone “sospette”. Persone cioè che nel corso della crociera si sono rivolte al centro medico di bordo perché in qualche modo sintomatiche e sottoposte a un nuovo tampone vengono trovate positive.
Il tampone
Poi viene il tempo del tampone (spese a carico della compagnia). La procedura è veloce, i passeggeri, anche i numerosi bambini, accettano tutti di buon grado di sottoporsi al test veloce. I volti sono tesi, però: chi risulta positivo è costretto a rinunciare all’imbarco. Per fortuna la compagnia prevede per i malcapitati una sorta di assicurazione che garantisce il rimborso del biglietto. Ma è meglio non correre questo rischio. Negativo, l’esito del tampone è negativo. Si sale a bordo, finalmente, dopo un paio d’ore di attesa. Non vediamo persone accompagnate all’uscita. A Civitavecchia siamo tutti passeggeri negativi! Ma ci sarà pure qualcuno che è stato costretto a tornare a casa, dalla ripresa dei viaggi?, chiediamo a un ufficiale della Grandiosa. Che si appella ovviamente al diritto alla privacy ma lascia intendere – come potrebbe essere diversamente? – che sì, qualcuno nel corso dell’ultimo anno non ha avuto modo e tempo di disfare le valigie. L’addetto al ricevimento, ma anche i facchini e gli ufficiali, i camerieri e gli inservienti, gli animatori e gli addetti alle pulizie, maitre e bagnini tutti indossano la mascherina. Dispenser di gel disinfettante sono ancorati ad ogni angolo; nei corridoi che portano alle cabine, il personale addetto alle pulizie ha sempre un panno in una mano e in un’altra un flacone spray: spruzzano e passano il panno sulle maniglie e sulle porte, su tutte le superfici che vengono toccate dagli ospiti.
Il settore
In cabina troviamo, oltre al solito piatto di frutta di benvenuto, una mascherina per ciascun ospite, che deve durare lo spazio di un giorno, perché il mattino successivo ne viene portata una nuova. Ci affacciamo dal balcone, siamo al penultimo ponte di questo mastodonte, il diciottesimo (una cinquantina di metri di altitudine dal livello del mare) e scorgiamo al largo navi alla fonda o parcheggiate in banchine isolate: è il segno dell’inattività. Affondate temporaneamente dagli strascichi della pandemia. Sono numeri da brividi quelle del settore crocieristico, onde altissime che avrebbero potuto mettere in ginocchio un settore che invece continua a resistere. Nel 2019, quando ancora non c’era lui, solo in Italia il comparto ha fatto registrare un fatturato di 14 miliardi di euro, assicurando circa 120 mila posti di lavoro (tra diretti e indiretti) e stipendi per 3,9 miliardi di euro. Nel 2019 i porti italiani hanno movimentato più di 12 milioni di passeggeri grazie a 4800 scali (4 milioni quelli “trasportati” dalle navi Msc). Nel 2020 le compagnie crocieristiche hanno registrato un calo del 90% del giro d’affari a causa dello stop globale che volontariamente si sono imposte per contribuire alla lotta contro la pandemia. E oggi? Oggi il settore ha avviato una timida ripresa: Msc, ad esempio, ha undici navi da crociera, sulle 19 dell’intera flotta, che sono tornate a muoversi. Ma con pesanti limitazioni: sulla Grandiosa, ad esempio, su 2700 cabine l’occupazione è al 60 per cento. E il personale imbarcato ha subito una riduzione dell’80 per cento.
Il personale
Al porto di Genova in banchina staziona un’altra nave Msc. Sul ponte più alto non c’è attività, le sdraio e i lettini del solarium sono accatastate negli angoli, le piscine senz’acqua, la chiglia comincia a subire gli effetti della salsedine. Ferma per Covid? “No – ci dice Giuseppe Arru – uno degli ufficiali addetti all’ospitalità: quella nave ospita il personale Msc che viene sottoposto a quarantena (due settimane) prima di imbarcarsi per un nuovo lunghissimo periodo a bordo, di solito sei mesi. Anch’io ci sono stato”, afferma Arru, 35 anni, sardo, una moglie rumena e casa a Bucarest. Prigionieri nelle loro cabine (dai comandanti in giù), in attesa di conclamare la loro negatività. Grazie al Covid, il personale lavora sette giorni su sette, niente giorni liberi, niente discese a terra, giri nei porti, occhiate nei bar delle città. Niente piedi a terra per sei mesi. Ma nessuno sembra soffrirne. John John, il cameriere filippino addetto al tavolo del ristorante a noi riservato, non vede però l’ora che arrivi la fine di agosto, quando finalmente, dopo sei mesi di “cosa prende?”, “tutto bene?”, “sale e pepe?” potrà salutare tutti, scendere e salire su un aereo che lo riporterà dalla sua giovane moglie. Sorride, John John. Hai figli, John John? “No, ma appena torno a casa ne ‘preparo’ uno”, dice nel suo italiano stentato. Un impiegato nelle Filippine guadagna in media 250 euro al mese. Qui, grazie alle mance un cameriere riesce a mettere insieme in trenta giorni anche dieci volte di più (undici ore di lavoro al giorno per sette giorni a settimana). Che per sei mesi di lavoro vuol dire… fate un po’ voi i conti. E questo spiega perché l’80 per cento del personale non è italiano e proviene per la maggior parte dalle regioni del Sud Est Asiatico.
La vacanza
Fare una vacanza, qui e ora, ti fa assaporare – e gustare fino in fondo – il concetto di “vuoto”. Ogni vacanza dovrebbe farti sentire libero di non fare assolutamente niente, ma non sempre è così. La vita nei giorni di crociera è scandita da numerosi e rilassanti riti quotidiani che ti fanno entrare nel girone della in-attività. Come quando da studenti liceali, all’ultima ora di lezione mancava per un motivo qualsiasi l’insegnante e il preside non sapeva chi mandare per sostituirlo così arrivava il bidello e diceva: ragazzi, state buoni, starete senza prof per un’ora. Un’ora: le braccia conserte e la testa poggiata sul banco a recuperare un po’ di sonno perduto. Il vuoto, appunto. La vacanza. La colazione, un comodissimo lettino prendisole, una doccia (non troppe, troppa fatica alzarsi e aspettare il proprio turno), per togliersi un po’ di sudore di dosso, camerieri che ti chiedono continuamente se vuoi qualcosa al bar. (E dopo tante insistenze cedi a bevande che se lo sapesse il diabetologo ti toglierebbe dal novero dei suoi pazienti). Il pranzo (distanziamento ok), il ritorno sul tuo lettino, il sole, qui a cinquanta metri d’altezza i suoi raggi arrivano meglio; “vuole qualcosa al bar?” (per fortuna nel nostro pacchetto le bevande sono tutte comprese quindi non abbiamo problemi di spesa), stavolta un prosecco. Passa un aereo, l’app Flight Radar indica altezza, velocità, modello del velivolo, aeroporto di partenza destinazione… Al largo s’intravede la sagoma di una nave cargo. Un’altra app la geolocalizza sul telefonino: nome, stazza, tragitto. Toh, guarda, laggiù c’è un’isola… E’ Minorca, scopriamo dalle mappe digitali. La cena. Il solito giro nella Galleria Grandiosa, il negozio che vende begli oggetti tra cui uno zaino su cui ho messo gli occhi ma che poi “lo comprerò in un grande magazzino con i saldi”. Al buffet non c’è la solita ressa per il pranzo: nessuno può servirsi da solo, naturalmente (qualche ospite si lamenta ma è molto meglio così). Niente foto con il comandante, né cene di gala (per fortuna). Un salto al teatro, orfano del Cirque du Soleil, causa Covid, e che però ospita bravissimi cantanti e ballerini. Davanti ai locali gli animatori (con quelle visiere trasparenti e la mascherina sotto sembrano ri-animatori) cercano di convincere gli ospiti a ballare. Un’altra bevanda allo zucchero? No, stasera un grappino barricato (“ah, vuole quella yellow”, dice sorridendo il cameriere indonesiano), tanto l’ho già pagato. Un’occhiata al casinò (sempre gli stessi giocatori) e via a letto.
Ecco, tutto questo vuol dire vacanza. E’ la prima volta che facciamo una vera vacanza, in cui viviamo in un vuoto in-attivo per sette lunghissimi giorni in cui galleggiare, lasciarsi coccolare, sospesi tra onde leggere e nuvole passeggere. Un bel vuoto, non c’è che dire, grazie soprattutto al fatto che gli ospiti, causa Covid, non hanno la libertà di scendere ad ogni porto e andare a zonzo per le vie delle città. Possono solo partecipare alle escursioni organizzate dalla compagnia (che però, per tutelare i viaggiatori, hanno molti limiti). Ma questo lo sapevamo, anzi, proprio per questo abbiamo scelto di fare una crociera al tempo del Covid: per continuare a vivere quell’ultima ora senza insegnante, chinare la testa sul banco e aspettare nel vuoto la campanella che ci rispedisce a casa.