Sono tornate. Bandite dal guardaroba da vent’anni, le pellicce sono il nuovo must sulle passerelle delle fashion week appena terminate. Da Milano a Parigi sono apparse addosso alle modelle di molti brand contaminando abiti, camicie, cappotti, giacche sia per uomo che per donna. Gli stessi marchi che fino a qualche anno fa avevano bandito completamente la pelliccia, come scelta ecologica che univa designer, modelle e consumatori. Ora, però, non è più così. E per capire quanto il ritorno della pelliccia abbia presa sul mercato cresce l’elenco di star e influencer che durante le giornate della moda di sono fatte fotografare impellicciate. Lo dice anche Google che nell’ultimo anno ha registrato l’85% in più delle ricerche. Eppure, appena pochi anni fa apparire su una copertina con un look simile avrebbe significato alienarsi le simpatie del pubblico. Oggi invece una pelliccia vera scovata in un mercatino è considerata cool.
Purché sia vintage
Tutto questo però non ha influito sul mercato delle pellicce vere che rimane comunque ancora basso: il giro d’affari in dieci anni è infatti sceso da 14 miliardi a poco più di 3. Ad andare per la maggiore infatti non sono le pellicce nuove, ma quelle eco, vintage e di seconda mano. Almeno per il momento. Ma al di là del tipo di pelle e manto, il mondo della moda sembra oggi cedere meno alle proteste di Peta (People for the Ethical Treatment of Animals), o di altri gruppi ambientalisti che anno dopo anno, dagli anni ‘80 hanno influito sicuramente su un cambio di mentalità collettivo e anche di normativa (in Italia l’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato dal 1 gennaio 2022) fino al punto da convincere il settore dell’alta moda a imboccare la strada dell’animal welfare e a puntare su materiali alternativi, l’ecopelle ad esempio, creata con ingredienti meno inquinanti, più economici di origine vegetale e su tessuti riciclati.

Gen Z: giovani ambientalisti e amanti del riciclo
Eco o vintage, rimane da capire perché sia stata riproposta dalle griffe e accettata dopo anni di oblio. Come hanno fatto cappotti di montone e colli di volpe e marmotta, da simboli della crudeltà sugli animali a tornare sulle passerelle ribaltando la percezione dei consumatori, soprattutto di quelli più giovani? La stessa Gen Z, i ventenni che si definiscono “ambientalisti” e parlano di “sostenibilità” e “tutela della biodiversità”, dimostrano infatti di sentirsi a proprio agio, più che la Gen X e i Millennials ossia chi ha trent’anni in su, a mostrarsi in pelliccia.
Patrizia Re, consulente progetti aziendali di Peta non ha dubbi: “Semplice. I designer hanno puntato sull’escamotage del vintage, la nuova grande passione dei consumatori più giovani che hanno il concetto di sostenibilità nel proprio DNA. Inserendo la pelliccia tra i capi di abbigliamento da riciclare sono riusciti a non far percepire ai ragazzi che si tratta di una moda passata, anzi. Oggi la ritengono una scelta moderna”.
Volpi e visoni nell’economia circolare
Insomma, anche volpi e marmotte fanno parte di quell’economia circolare che inizia mettendo le mani negli armadi delle nonne. Una moda che sta trascinando il resto del mercato. Spuntano infatti come funghi i mercati vintage, con stand pieni di pellicce vere. Gli stessi stand che fino a qualche anno fa venivano snobbati per non alimentare il commercio della pelliccia, oggi sono super ricercati dalle giovani generazioni. Perché ritengono l’acquisto di “seconda mano” una scelta sostenibile. Anche si si tratta di un collo o un vecchio giubbotto di volpe o di visone.

“E in parte lo è, una scelta sostenibile. – è il parere di Marina Spadafora, designer e coordinatrice di Fashion Revolution, il movimento globale che combatte il fast fashion – Se le pellicce sono vintage, ben venga il loro recupero. Meno si butta nella pattumiera, meglio è. Non stiamo parlando di uccidere un animale per la vanità di indossare un abito nuovo, ma di evitare che una pelle di montone arrivi in discarica. Dico di più, qualche tempo fa ho conosciuto, ad un evento che si occupava proprio di moda sostenibile un gruppo di ragazzi che recuperano le pellicce degli animali uccisi dai guardacaccia nelle foreste austriache. Non sono scandalizzata quando si parla di dare una seconda vita ai materiali che altrimenti verrebbero buttati. E poi il vintage è trasversale, è una scelta percepita come ecologica non solo dai ragazzi, ma anche dai loro genitori”.
La questione controversa del montone
E poi ci sono i pellami provenienti dall’industria alimentare, e quindi non da allevamenti destinati al solo abbigliamento, su cui puntano i brand per creare giubbotti e cappotti. Ad esempio, il montone che è diventato molto popolare. Quest’anno molti designer in passerella hanno sostituito l’ecopelle con il montone con la giustificazione che si ricava dal processo già avviato di macellazione, senza gravare su altri animali.
Numerose, però, sono le indagini condotte da Peta e che raccontano un’altra realtà. Spiega Patrizia Re: “In tutto il mondo i nostri ricercatori hanno dimostrato come i lavoratori castrino, mutilino e uccidano violentemente le pecore prima che vengano private della loro lana e della loro pelle. Shearling è la pelle di pecora e anche di agnello, con il vello, ossia la loro pelliccia, ancora attaccato. Possono essere necessarie dozzine di singole pelli di pecora per realizzare un solo capo di shearling. Va rilevato che importanti case di moda, si stanno allontanando anche dallo shearling, optando per versioni animal-free”.

Le pellicce sintetiche: sono davvero eco?
C’è poi la questione infinita sulle pellicce sintetiche. Sono davvero sostenibili? E ancora. I materiali impiegati per la loro realizzazione sono davvero biodegradibili? C’è chi si dice convinto che sia più sostenibile una pelliccia vera di una sintetica, visto che alcune materiali con cui vengono intrecciati lana e cotone contengono poliestere, nylon e acrilico. Dunque, provengono dal petrolio e i suoi derivati, perciò tra i rischi ambientali c’è anche la dispersione delle microplastiche nell’ambiente. E poi oltre l’uso delle sostanze chimiche ci sono i processi della tintura e il consumo d’acqua.
Renata Balducci, presidente di Assovegan cerca di fare un po’ di chiarezza. Insomma, la pelliccia eco è davvero meno impattante per l’ambiente? “Sì, per non parlare dei vantaggi etici. Ma come ogni cosa, ha un suo impatto sull’ambiente e sta a noi con utilizzi consapevoli e duraturi, indossare ogni capo di abbigliamento in modo ecologico facendolo durare e continuando ad usarlo più a lungo possibile. In pratica non esistono oggetti ecologici. Sono i nostri comportamenti che li fanno impattare di più o di meno sul Pianeta”.
“Non importa se l’animale è morto ieri o anni fa”
Allora che fare? “La pelliccia ha raggiunto la sua destinazione finale e non c’è biglietto di ritorno, perché è evidente che il mondo della moda sia andato avanti” dice ancora Patriza Re. In effetti, viste le sfilate sulle passerelle, la pelliccia vintage ha colpito nel segno i gusti della generazione votata alla sostenibilità, grazie ai designer che hanno trasformato un capo di abbigliamento vecchio antiquato e incartapecorito a capi divertenti, giovane e hippy chic. Ma non è una scelta considerata ecologica da chi della tutela degli animali si occupa tutti i giorni.

Spiega la responsabile di Peta: “Oggi, con così tante informazioni a disposizione di tutti e condivise alla velocità di un clic, chi sceglie di indossare pellicce è semplicemente insensibile o incurante all’argomento. Non importa se l’animale sia morto ieri o decenni fa: scegliere di indossare una pelliccia equivale a comunicare che sia accettabile sostenere un’industria spietata che uccide gli animali in modi brutali, rilascia sostanze chimiche tossiche nei corsi d’acqua e devasta interi ecosistemi. Gli studi dimostrano che produrre un capo di abbigliamento in vera pelliccia di animale è fino a dieci volte più dannoso per l’ambiente rispetto a uno in pelliccia sintetica, in parte perché la pelliccia vera spesso proviene da animali allevati in allevamento e allevare, nutrire e macellare animali vivi ha un grave impatto ecologico”.
C’è un modo diverso di riciclare pellicce
Infine, un appello. Perché c’è un modo diverso di dare una seconda vita alle pellicce vintage : “Chiunque abbia pellicce avanzate da un’epoca ormai passata, può fare del bene donandole alla Peta per essere utilizzate come letti per animali orfani o spedite all’estero per aiutare i rifugiati nei climi freddi, perché solo le persone che lottano davvero per sopravvivere hanno una scusa valida per indossare vecchie pellicce”.