Per il 75% degli italiani il nucleare non è una valida alternativa. Considerato troppo pericoloso e poco conveniente. Solo il 25% pensa che un ritorno all’energia sia la soluzione giusta. Per gran parte degli italiani invece bisogna fare di più su rinnovabili, economia circolare e lotta alla crisi climatica che secondo il 29% è causa di aumento di malattie. I dati del sondaggio Ipsos commissionato da Legambiente, Kyoto Club, Nuova Ecologia (in collaborazione con Conai e Conou) e presentati il 3 luglio a Roma in occasione della prima giornata della conferenza nazionale sull’economia circolare (EcoForum) parlano chiaro. Se il Governo Meloni è sempre più convinto dell’utilizzo del nucleare tanto da prevedere nell’ultima versione del PNIECC un mix elettrico con una quota di nucleare “di circa l’11% e il 22% al 2050 “, gran parte degli italiani la pensano diversamente e dice no al ritorno dell’atomo.


 

Fonti pulite e economia circolare per creare green job 

Per il 54% degli intervistati il governo dovrebbe incentivare la produzione e l’impiego di energie rinnovabili e sviluppare l’economia circolare. Non solo. Il 38% pensa ci sia troppa burocrazia e che le amministrazioni dovrebbero semplificare l’iter per ottenere le autorizzazioni per creare impianti di energie rinnovabili. Fonti pulite ed economia circolare rappresentano dunque i volani per il Paese permettendo di creare nuovi green jobs: infatti oltre 1 italiano su 2 ritiene che in futuro aumenteranno. Dati che Legambiente e Kyoto Club hanno portato all’attenzione del ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin intervenuto alla prima giornata dell’Ecoforum dal titolo “Economia 2030. Priorità, cantieri, strumenti per raggiungere gli obiettivi europei”. Per le due associazioni è un grave errore che il governo segua la strada dell’atomo.


Kyoto Club: “Preoccupati per gli errori”

La via da percorrere è quella delle rinnovabili e dell’economia circolare, facendola decollare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale a partire dalle tre filiere strategiche RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche); tessile e materie critiche che rappresentano le nuove “miniere urbane” a cui attingere senza dipendere dall’estero. Migliorando la qualità della raccolta differenziata, su cui l’Italia oggi è in ritardo. Spiega Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club: Economia circolare e transizione energetica da fossili a rinnovabili non sono più solo un must per affrontare la crisi climatica, ma la chiave per fare una politica industriale che consenta al nostro sistema economico di giocare un ruolo da protagonista e non solo in difesa nello sconvolgimento geopolitico cui stiamo assistendo. Siamo quindi preoccupati per gli errori che si stanno facendo sul fronte delle rinnovabili, con un decreto “aree idonee” che non “idoneizza” nulla e che anzi complicherà il permitting, e sul fronte dell’economia circolare, per esempio, sui ritardi che si accumulano sulle discipline end of waste che consentirebbero invece di uscire dal ciclo dei rifiuti a materiali. Una strategia che farebbe risparmiare tanta materia prima”. 

Per il 45% crisi climatica e costo della vita sono collegate

Se per il 61% degli intervistati l’aumento dei disastri naturali è dovuto proprio al clima, sempre  secondo il sondaggio Ipsos i cittadini sono sempre più consapevoli delle ricadute economiche e degli impatti su territori e la salute delle persone. In particolare, per il 45% i cambiamenti climatici hanno effetti sul costo della vita in generale, per il 44% determinano un aumento dei costi dei prodotti alimentari, per il 29% un aumento delle malattie croniche, allergie e tolleranze. Per questo, l’impegno a contrastare la crisi climatica deve vedere in prima fila i governi nazionali per il 72% degli intervistati, seguiti da aziende e consorzi (42%), amministrazioni locali (39%), cittadini /consumatori (35%), media (20%).

Le strategie

 

Tre gli interventi urgenti su cui per Legambiente e Kyoto Club è necessario che l’Italia lavori.

  • la realizzazione degli impianti necessari alla rivoluzione circolare del Paese, visti come un’opportunità di riqualificazione sociale, risanamento ambientale e rilancio economico dei territori. 
  • lo sviluppo di filiere e settori strategici nel panorama nazionale, dal tessile alle materie prime critiche, dai rifiuti speciali ai RAEE passando per lo spreco alimentare, e sostenere ricerca e sviluppo di nuove soluzioni per affrontare le sfide dell’era digitale anche in questi settori.
  •  il rafforzamento nei territori dei principi cardine della gerarchia della gestione dei rifiuti: riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero dei rifiuti.

“Per centrare gli obiettivi Ue al 2030 – ha spiegato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – servono politiche e interventi coraggiosi che permettano di accelerare il passo e contrastare la crisi climatica. Mancano solo sei anni al 2030, ma il governo Meloni guarda al passato a partire dalla scelta fatta sul PNIEC contenente un mix energetico basato anche sul nucleare, sul gas e sul Piano Mattei. Una decisione grave che non tiene conto delle esperienze in fatto di rinnovabili, sparse nella Penisola, e della leadership italiana sull’economia circolare in Europa. Occorre accelerare lo sviluppo e la realizzazione di nuovi impianti a fonti pulite e lavorare sulle filiere strategiche dell’economia circolare a partire dal riciclo dei RAEE. Per far ciò occorre rimuovere quegli ostacoli burocratici e tecnologici che oggi ne rallentano lo sviluppo, perseguire la strategia Rifiuti zero, impianti mille, puntare ad un modello di gestione sempre più ottimale, basato su raccolta porta a porta, tariffazione puntuale, impiantistica diffusa e capillare sul territorio e nuove campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte ai cittadini”. 

Da mille tonnellate di Raee recuperate 900 tonnellate di materie prime


Secondo i dati di Erion Wee, il consorzio dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, dal riciclo di mille tonnellate di Raee si potrebbero recuperare circa 900 tonnellate di materie prime come plastiche, vetro, cemento, rame, alluminio e legno.

Per quanto riguarda il settore settile, stando ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), nel 2020, è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE. Il 56% delle materie prime critiche necessarie all’Europa viene attualmente dalla Cina così come circa il 90% della produzione mondiale di terre rare, di manganese e di germanio. In questo scenario il Critical Raw Materials Act, emanato a marzo 2023 dalla Commissione UE stabilisce che entro il 2030 l’estrazione, raffinazione e riciclo di tali materie debbano soddisfare, rispettivamente, almeno il 10%, 40% e 15% del fabbisogno europeo, con l’obiettivo di rendere le filiere industriali più resilienti e meno dipendenti da Paesi terzi.

Smaltimento rifiuti: le famiglie le più virtuose 

il 70% di famiglie e individui si confermano i soggetti più virtuosi rispetto allo smaltimento dei rifiuti, seguiti dal settore pubblico (62%) e dalle aziende (57%). Nella classifica dei materiali ritenuti dai cittadini più pericolosi da smaltire, si confermano: l’olio minerale lubrificante usato (60%), RAEE (53%), e plastica dura (50%). Per quel che riguarda l’olio minerale esausto, i cittadini sanno che viene raccolto e che può essere rigenerato, ma il consumatore chiede che venga indicato sulla lattina per poter fare scelte consapevoli.

“Da numerosi rapporti sui rifiuti e sull’Economia Circolare – dichiara Riccardo Piunti, presidente del CONOU – emerge un dato: siamo spesso più bravi a raccogliere che a riciclare. Questo, se vale per molti rifiuti urbani e no, tuttavia non vale per l’olio minerale che (dallo studio UE della fine del 2023) pone l’Italia in prima fila nella raccolta (100%) e nella rigenerazione (98%) rispetto all’82% e 61% della media UE. Paradossale che proprio (e forse solo) in questo settore l’Europa non abbia fissato obiettivi, nonostante riconosca l’importanza di rigenerare questo rifiuto pericoloso. La raccolta, che spesso si avvale della efficacia del modello consortile italiano, si trova ora davanati ad una prospettiva di evoluzione, dalla piccola impresa familiare a quella parte di grandi gruppi, magari stranieri, con tutte le differenze”.

Conai: l’Italia ha superato gli obiettivi

«Il nostro Paese ha superato gli obiettivi complessivi di riciclo chiesti dall’Europa al 2030, quando ogni Stato dovrà riciclare almeno il 70% dei suoi rifiuti di imballaggio» spiega Fabio Costarella, vicedirettore generale CONAI. «Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia è leader per riciclo pro-capite di imballaggi in un testa a testa con la Germania: lo scorso anno, infatti, la Commissione Europea ci ha inserito fra le nove nazioni non a rischio per il raggiungimento degli obiettivi di riciclo, nella sua relazione di segnalazione preventiva sull’attuazione delle Direttive sui rifiuti. Dobbiamo continuare a impegnarci, però. Il nuovo Regolamento europeo chiederà tassi di intercettazione dei pack sempre più alti: occorre lavorare per aumentare quantità e qualità delle raccolte differenziate degli imballaggi, anche attraverso lo strumento delle raccolte selettive, ove opportune. Ma per migliorare saranno importanti anche le innovazioni a monte, per progettare pack sempre più riciclabili, e a valle, cercando tecnologie di riciclo capaci di recuperare materia dalle frazioni ancora difficili da riciclare».