L’uomo delle 33 piccole isole d’Italia ha paura che spariscano, le isole. O meglio: che scompaia la loro identità. Anche per questo si è messo in viaggio a bordo di un gommone a vela di 6 metri senza cabina, “Maribelle”, toccandole una alla volta, senza fretta. Ad ogni approdo ha cercato soprattutto loro, gli isolani, custodi di terre in bilico tra un passato sempre più remoto e un futuro ad alto rischio globalizzazione. Poi Lucio Bellomo, palermitano, 40 anni, ingegnere elettronico pentito (per mettersi in gioco ha rinunciato a una cattedra come docente associato in Francia) ha affidato il suo diario di viaggio – dall’Elba a Ustica, da Lampedusa a Venezia, passando per Ponza e Ischia, e così via, sulla scia di una fascinazione per le isole che ha da sempre ispirato artisti e scrittori – alle pagine di un libro in due tomi che si chiama proprio così, 33 Isole, edito da Mursia, cui farà seguito presto un docufilm.


Un mosaico di volti compone il viaggio del velista solitario, che – nutrendosi di incontri e dialoghi – solitario non è. Quello di Maria Guccione da Favignana, ultraottantenne, gli lascia in dote l’interrogativo di fondo: “Sai, quando avevo trent’anni guardavo al turismo come se dovesse arrivare la manna dal cielo. – gli dice – Poi ho capito che non era così. Perché il turismo invade, e a volte può finire per uccidere l’anima di un popolo”.


A Ischia, dove ha scelto di trascorrere gli ultimi mesi, Lucio ripensa al suo viaggio e osserva l’orizzonte. “Mi sono ritrovato ammagliato in una rete di bellezza estrema e marginale, depredata nel corto periodo estivo e abbandonata a sé stessa per il resto dell’anno. – chiarisce subito  – Ma ho capito che è anche qui che l’Italia si gioca il suo futuro. La globalizzazione ha colpito anche le isole, si tende a somigliare alla terraferma, più che a mostrare le proprie peculiarità. Spesso mi sono imbattuto nel messaggio delle amministrazioni locali secondo cui l’isola progredisce solo se si assottiglia il divario dal continente. Certo, ci sono isole e isole. Più l’isola è remota, invece, più l’accesso è precario, e più l’identità resiste. Penso a Linosa, per esempio, o ad Alicudi. Ma perfino qui ho visto segnali che mi hanno dato i brividi. Eppure qualcosa delle isole resiste, anche sulle isole più antropizzate: ancora oggi, una volta sbarcati a Ischia, coi suoi settantamila abitanti, si respira aria di isola. Cosa sia esattamente è complesso e forse impossibile da spiegare. Eppure c’è. E va difeso”.

 

La conversione energetica che (non) può attendere


C’è poi il tema, oggi più che mai cruciale, della sostenibilità. Dell’indipendenza energetica. “Sull’isolotto di Amantaní, sul lago Titicaca fra Perù e Bolivia, a 3800 metri di quota, qualche centinaio di abitanti, un anno e mezzo fa, passeggiando incappai in una centrale elettrica fotovoltaica. Mi colpì che la gente, lì, vive quasi come si viveva mille anni fa, ma quel poco di elettricità che ha viene da quella centrale. Per questo, oggi mi chiedo perché le isole minori italiane non abbiano puntato sulle centrali fotovoltaiche o sull’energia eolica, sulle correnti marine, sulla conversione green. Mi sono imbattuto in pochi progetti, molto modesti, a Salina o all’Elba. Eppure ci sarebbe meno gente da convincere e un fabbisogno inferiore, rispetto alle città. Invece no, le isole non sono mai i piccoli laboratori che potrebbero essere. E non lo sono neanche per il rifornimento idrico, con dissalatori assenti o insufficienti. Ed è qui che risiede la miopia del nostro Paese. In più, l’autosufficienza alimentare di molte delle isole italiane, che hanno a lungo vissuto di pesca e agricoltura, è un modello sempre più difficile da sostenere. E allora mi sono lasciato affascinare da realtà virtuose, come il ristorante Carrubba di Martina Natale a Ustica, che nonostante qualche piccola deroga – la pasta, per esempio – propone piatti i cui ingredienti sono esclusivamente dell’isola, anche col rischio di ridurre e per certi versi semplificare l’offerta”.

Gli orti, il baratto e la natura che resiste

Due traversate oceaniche a vela all’attivo, istruttore di immersioni, Lucio Bellomo scuote più volte la testa mentre, con la sua cadenza marcatamente siciliana, racconta le sue isole, esplorate in un viaggio iniziato il 15 aprile 2018, con (partenza da Palermo, e concluso il 23 agosto, a Venezia). Non tutto sembra averlo convinto, insomma. Ma ha cercato (e trovato) anche storie virtuose. Odia il termine “resilienza”, ma le cita come profili di realtà insulari che hanno compreso l’importanza di proteggere le specificità.

“A Ischia – racconta  – una donna, Luciana Morgera, ha inventato la Borsa Verde 3.0, un meccanismo di baratto delle eccedenze degli orti attraverso i social, innescando un ritorno alla coltivazione dei terreni incolti, una riduzione dei rifiuti e soprattutto la riscoperta dell’anima verde dell’isola, attraverso eventi, letture e laboratori”. E poi c’è la natura, naturalmente.


Le isole italiane restano spesso oasi di biodiversità. – annota Lucio  – Quelle più remote, subiscono solo parzialmente l’insostenibile pressione antropica della terraferma, in termini di plastica, pesticidi e metalli pesanti. Immergersi a Ustica, Linosa e Capraia non ha prezzo.  Ho potuto apprezzare l’importanza delle isole come hotspot per i fenomeni migratori degli uccelli, registrando il falco della regina, che nidifica sull’Isola di San Pietro come alle Eolie, e la consistente colonia di berta maggiore a Linosa, dove decine di migliaia di esemplari ogni sera, in estate, tornano a terra per accudire i nuovi nati. Che meraviglia! Ma ho visto anche tante, troppe isole circondate da acqua torbida e assalite dall’overtourism, cui le stesse comunità locali hanno troppo spesso colpevolmente strizzato l’occhio, e allora mi sono chiesto cosa ancora non funzioni nel sistema delle Aree Marine Protette, teoricamente ideale per difendere la loro straordinarietà. Credo che la rotta ideale sia quella tracciata da un turismo esperienziale e maturo, intercettato per esempio da realtà come “Nesos”, che con Pietro Lo Cascio, Flavia Grita e Carmelo Mustica alle Eolie propone escursioni di alto profilo scientifico, alla rispettosa e mai invasiva scoperta di flora e fauna. Ecco, io partirei proprio da lì”.